Dopo tanti sussurri, i sostenitori del “fine vita lavorativa, mai” hanno potuto compiacersi appena hanno letto il comunicato stampa, diffuso dall’Istat lo scorso martedì, dal titolo “Indicatori di mortalità della popolazione residente”, il cui effetto pratico sarà quello di inasprire, ancora di più, i requisiti anagrafici e/o contributivi per essere collocati in pensione, giusta legge Fornero!
Dal 1° gennaio 2019, infatti, la pensione di vecchiaia scatterà a 67 anni e non più a 66 anni e 7 mesi, com'è adesso. Per andare in pensione in anticipo rispetto all'età di vecchiaia (l'ex pensione di anzianità contributiva), sempre da gennaio 2019, saranno necessari 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne. Al momento, infatti, per l'uscita anticipata verso la pensione ci vogliono 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne.
I dati Istat hanno certificato che “Per il totale dei residenti la speranza di vita alla nascita si attesta a 82,8 anni (+0,4 sul 2015, +0,2 sul 2014) e nei confronti del 2013 risulta essersi allungata di oltre sette mesi”.
L’Istat ha aggiunto, tra l’altro, che “La speranza di vita aumenta in ogni classe di età. A 65 anni arriva a 20,7 anni per il totale dei residenti, allungandosi di cinque mesi rispetto a quella registrata nel 2013. A tale età la prospettiva di vita ulteriore presenta una differenza meno marcata tra uomini e donne (rispettivamente 19,1 e 22,3 anni) che alla nascita”.
Quello introdotto dalla legge Fornero del 2011 è un meccanismo perverso ed assolutamente intollerabile che, di fatto, penalizza gravemente i lavoratori italiani, i cui requisiti anagrafici e/o contributivi per accedere alla pensione sono di gran lunga i più elevati. Solo un governo del tutto insensibile nei confronti del mondo del lavoro, può rifiutare le ragionevoli proposte di modifica dell’iniqua legge, i cui costi sarebbero assolutamente sostenibili e, comunque, un’inezia rispetto ai miliardi che lo stesso governo ha destinato alle banche.
Un atteggiamento ostile, che sicuramente avrà il suo peso in occasione delle imminenti elezioni politiche, atteso che non fa altro che bloccare quel ricambio generazionale assolutamente necessario, per assicurare lavoro a tanti giovani, oggi costretti alla disoccupazione o a forme di occupazione ultraprecarie e sottopagate.