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Venerdì, 03 Mag 2024

Con sentenza n.302/2018, la Corte dei conti - Seconda Sezione giurisdizionale centrale di appello - ha messo la parola fine, una volta per tutte, all’ultradecennale querelle, originata da un esposto di Usi-Ricerca presentato nel 2007, della presunta responsabilità per danno erariale dei vertici dell’Istat, in relazione alla mancata applicazione delle sanzioni previste per la violazione dell’obbligo di fornire le informazioni richieste dall’ente statistico in sede di raccolta dei dati necessari all’elaborazione delle indagini statistiche (art.11 Dlgs. n.322/1989).

La vicenda che, come detto, coinvolse i vertici della statistica ufficiale dell’epoca (dal presidente ai capi dipartimento, dal direttore generale ad alcuni direttori centrali), non solo ebbe notevole risonanza sulla stampa nazionale, che ospitò numerosi interventi di vari intellettuali, tutti in difesa dell’operato dell’Istat, ma determinò anche un discusso intervento del governo - all’epoca guidato da Romano Prodi - passato alle cronache come “indulto statistico”, espunto dalla “finanziaria” ma riesumato nel decreto “milleproroghe” (art. 44, DL 248/2007), duramente contestato in Parlamento, in particolare dall’on. Giorgio Carta, eletto nelle liste dell'Ulvo, e giungendo finanche all’esame della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 93/2011, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei conti.

In primo grado, con Adusbef e Usi-Ricerca intervenuti ad adiuvandum della Procura regionale del Lazio, a fronte di un danno erariale quantificato dalla stessa Procura (per il solo periodo 2002-2006) in circa 191 milioni di euro, la Sezione giudicante, con sentenza n.1096, pubblicata il 7 novembre 2012 (Pres. De Musso, Rel. Chiara Bersani), prendendo in esame le omesse sanzioni relative al periodo luglio 2003-aprile 2006, assolvendo da ogni addebito tre direttori centrali Viviana Egidi, Giuseppe Certomà e Gian Paolo Oneto, aveva condannato a risarcire a favore dello Stato il danno complessivo di euro 286.176,00 (il presidente Luigi Biggeri, per 145.384,00 euro; i direttori generali Giuseppe Perrone, per euro 10.260,00 e Olimpio Cianfarani, per euro 47.880,00; i direttori di dipartimento Vittoria Buratta, per euro 25.650,00; Francesco Zannella, per euro 22.230,00 e Andrea Mancini, per euro 10.260,00; i direttori centrali Roberto Monducci, per euro 7.980,00; Valerio Terra Abrami, per euro 6.840,00 e Linda Laura Sabbadini, per euro 9.692,00).

Avverso tale sentenza, tutti i condannati proponevano singoli appelli, ritenendo in sostanza, con articolate memorie difensive, di essere esenti da qualsiasi responsabilità amministrativa.

Il collegio di appello (Pres. Calamaro, Rel. Floreani), con la citata sentenza n. 312, depositata il 21 maggio scorso, dopo aver esaminato i predetti ricorsi (tutti riuniti, perché contro la stessa sentenza) proposti dai soggetti interessati avverso la decisione di primo grado (n. 1096/2012):

- ha confermato la condanna del presidente dell’Istat, Luigi Biggeri, in relazione alla sua posizione istituzionale, nella misura fissata dalla sentenza di 1° grado, oltre interessi e spese legali;

- ha rigettato l’appello di Giuseppe Perrone, Olimpio Cianfarani e Valerio Terra Abrami, a fronte di una responsabilità accertata in ragione del loro ruolo, per non aver posto in essere iniziative dirette a vigilare sulle omissioni riscontrate, confermando la sentenza di primo grado, oltre interessi e spese legali;

- ha accolto l’appello di Andrea Mancini, in quanto il danno risarcibile accertato con la sentenza riguarda un periodo di riferimento successivo a quello in cui l’appellante ha ricoperto l’incarico di capo dipartimento;

- ha accolto l’appello dei direttori centrali Roberto Monducci e Linda Laura Sabbadini, stante, per il primo, il mancato raggiungimento della prova circa l’apporto causale e l’imputabilità per colpa grave delle omissioni riscontrate nel settore di riferimento e, per la seconda, la posizione assunta, in una nota documentale di marzo 2006 agli organi sovraordinati, con la quale rilevava l’opportunità di un intervento applicativo delle sanzioni, un carteggio che - ad avviso del collegio giudicante - pur se “confezionato in epoca prossima al termine finale in cui il danno forma oggetto dell’azione risarcitoria (luglio 2006, ndr) … non si può ragionevolmente escludere come ella potesse in precedenza aver preso posizione” sul problema concernente il sistema sanzionatorio.

Quanto ai due direttori di dipartimento, Buratta e Zannella, condannati in primo grado e appellanti, la cui funzione nel caso di specie è stata ritenuta dal collegio giudicante “per molti aspetti analoga a quella dei direttori generali, sia pure con riguardo allo specifico settore di attività …”, v’è da dire che entrambi in corso di causa hanno presentato, in epoche diverse, istanza di definizione del giudizio che, a seguito di accoglimento da parte della Corte, ha comportato l’estinzione del giudizio stesso, previo pagamento del 20% (ex art. 14, comma 2 ter L.102/2013) per il primo, e, per il secondo, del 30% (art. 1, commi 231, 232 e 233 della L. 266/2005) dell’importo a carico di ciascuno di essi indicato nella sentenza di primo grado, oltre interessi e spese legali.

Infine, appare doveroso aggiungere che, successivamente all’intervento della Corte dei conti, sollecitato, come già detto, dal sindacato Usi-Ricerca, l’Istat si è finalmente attivato per contrastare e sanzionare i non rispondenti ai questionari statistici, anche se il numero delle indagini a risposta obbligatoria per le quali la mancata risposta è soggetta a sanzione è stato ridotto.

Ciononostante, risulta dai bilanci di esercizio che nelle casse dell’Istat, dal 2008 ad oggi, sono finiti, a titolo di sanzioni per mancate risposte ai questionari, diversi milioni di euro, di cui più di 9 solo nel quadriennio 2013-2016.

Per alcuni, un bel tesoretto; per altri, una eredità lasciata dal sindacato Usi-Ricerca, dopo aver difeso per più di un quarto di secolo i lavoratori dell’ente.

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