di Flavia Scotti
Nessuno riuscirà mai a capire quale sia stata la logica ispiratrice della inopinata riforma degli enti pubblici di ricerca, che il governo, dopo lunghe, tormentate e penose vicende, ha varato con il decreto legge di approvazione della manovra correttiva.
L’unica cosa che non appare azzardato affermare è che l’operazione é stata affidata al machete, che ha operato tagli in maniera del tutto illogica e indiscriminata.
A soccombere sono stati cinque enti di ricerca. Fino a qualche attimo prima della firma del decreto erano addirittura nove, ma sul filo di lana si sono salvati, per ora, dalla scomparsa altri quattro enti.
Dalla pubblicazione in Gazzetta del provvedimento, che avverrà questa mattina, non sentiremo più parlare dell’Istituto di Studi e di Analisi Economica (Isae), passato al ministero dell’Economia e delle Finanze; dell’Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro (Ispesl), incorporato dall’Inail; dell’Ente Nazionale Sementi Elette (Ense), assorbito dall’Istituto nazionale per la Nutrizione (Inran); dell’Ente Italiano della Montagna, passato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; dell’Istituto azionale per studi ed Esperienze di architettura navale (Insean), inglobato dal ministero delle Infrastrutture.
Ad avere evitato la soppressione in extremis sono stati l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf); l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) di Trieste; l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (Inrim) di Torino e la Stazione Zoologica “Anton Dohrn” di Napoli.
I primi tre erano destinati a ingrossare il pachiderma della ricerca pubblica italiana: il Cnr; mentre il quarto doveva transitare nel Miur. Davvero curiosa la sorte dell’Inaf che nel 2006 aveva assorbito tre Istituti del Cnr: l’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica, l’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario e l’Istituto di Radioastronomia, che a distanza di quattro anni ha rischiato di tornare alla casa madre con gli interessi, vale a dire con tutti e dodici gli ex Osservatori Astronomici e Astrofisici, anch’essi a suo tempo confluiti nell’Inaf.
Un’operazione sconcertante, che in molti hanno visto come la prova generale del definitivo smantellamento della ricerca pubblica nel nostro Paese.