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Domenica, 13 Ott 2024

Del doman non v’è certezza”, questo sembra essere da sempre il motto dell’urbanistica romana, si vive alla giornata, come invitava a fare, nel 1490, con la sua Canzona di Bacco, Lorenzo il Magnifico.

Si pensi, ad esempio, alle innumerevoli varianti apportate al Piano Regolatore Generale (P.R.G.) approvato, con apposito D.P.R. il 16 dicembre 1965. Ma, se negli anni del Sacco di Roma le varianti avevano semplicemente il nome dell’intervento che si andava ad autorizzare, dal 1993 si sono infiocchettate con denominazioni che sembravano richiamare alla tutela del territorio. E così, piuttosto che elaborare un nuovo e rivoluzionario P.R.G., si è perso tempo a varare: la variante a verde e servizi, la variante di salvaguardia, il Piano delle certezze, gli ambiti di riserva a trasformabilità vincolata (leggasi: compensazioni ricadenti su aree di agro romano salvate dalle precedenti varianti), et similia.

Insomma, varianti dai nomi altisonanti, con testi volti a tranquillizzare l’anima ecologista della città, ma che celavano tutte nuovi pezzi di territorio sacrificati al cemento. Certezze non se ne sono mai raggiunte né con l’omonimo piano, né con il nuovo piano regolatore del 2008 (che ne ha smontate in buona parte), che, peraltro, si è cominciato ad emendare subito dopo la sua approvazione. Basta vedere i progetti approvati dal commissario prefettizio. Ma anche l’attuale giunta non si è risparmiata, si pensi, ad esempio al progetto dello stadio della A.S. Roma. Dal 2016, poi, è in corso una revisione del piano del 2008.

E dire che, anche chi scrive, votò holding her nose il nuovo P.R.G nella speranza che si pervenisse finalmente ad un sistema di regole certe, per uscire dal pianificar facendo, che vedeva tra i beneficiari di concessioni edilizie figli e figliastri.

D’altronde, il settore delle costruzioni è sempre stato tra le colonne portanti dell’economia romana. Se prima della crisi del 2007-2009 era il secondo comparto economico dopo i servizi, ora, nonostante un calo del 25%, è il terzo con una produzione di ricchezza pari al 17% del Pil della capitale.

Per tener buoni i cittadini, bastano parole dall’accento ecologista e così ogni delibera urbanistica sembra essere la panacea per una città che muore di cemento.

L’ultima della serie è della Regione Lazio, che coglie l’occasione per spargere nuove edificazioni, addirittura con il varo del Piano di assetto della riserva naturale dell’Acquafredda, redatto da Roma Natura nel lontano 2003 e giunto ora all’approvazione. Non è che l’inizio, c’è da giurare che seguiranno i Piani di assetto delle altre riserve romane.

E dire che obiettivi del suddetto piano d’assetto dell’Acquafredda sarebbero: la “valorizzazione dell’identità specifica” di ogni singola riserva finalizzata, tra l’altro, a incentivare “la riconoscibilità dei valori peculiari di ciascuna area, contro il rischio di omologazione e appiattimento”; la “promozione dei valori di interconnessione, intesi come riconoscimento, tutela e potenziamento del complesso di relazioni eco-biologiche, paesistico territoriali e di funzionamento urbano, mirati alla configurazione a sistema delle aree protette nel territorio romano”; il “rafforzamento delle buone pratiche di cura e manutenzione del territorio, intese come azioni …per la conservazione della stabilità del suolo, per la difesa della biodiversità, per la preservazione del paesaggio”.

Sembra tutto bello ma poi i fatti dimostrano il contrario.

Una riserva naturale è un bene comune e come tale le scelte che ricadono su di essa dovrebbero essere il più possibile condivise. È quel che è avvenuto in questo caso? No. La consultazione dei cittadini c’è stata, ma senza sottoporre ad essi nessuno dei progetti pervenuti, neppure quelli relativi alle cosiddette “aree contigue”.

Ma quali sono questi progetti? Viabilità interna e di margine alla riserva, tanti parcheggi e dulcis in fundo maxi potenziamento di impianti sportivi megagalattici già esistenti (si tratta di ampliare un centro sportivo che già oggi occupa una superficie di ben 11 ettari, ubicato, in parte, nel perimetro della riserva ma, di fatto, sanato nel 2003 con la delibera di adozione della riserva stessa); nonché, la realizzazione su 6 ettari di proprietà dell’Amministrazione del patrimonio della sede Apostolica (A.P.S.A), ovvero il Vaticano, di una struttura socio-sanitaria di 180.000 mc con annessi servizi di supporto come ristorazione e ospitalità; la realizzazione di una struttura per la ricettività turistica di 30 stanze, perché: “con l’insieme dei progetti proposti si intende affermare sinteticamente che la salvaguardia dei territori protetti è inscindibile da azioni di trasformazione, anche radicali” (sic!).

Roma, come ci hanno ricordato più volte, è il più grande comune agricolo d’Europa e la Tenuta dell’Acquafredda è una delle zone più produttive (113 ettari coltivati su 140). In essa, infatti, risiedono 10 aziende agricole, 3 delle quali con una superficie media di 25 ettari, con produzioni cerealicole (frumento e mais), oleaginose e proteaginose (colza e girasole), ortive (solanacee e cucurbitacee), arboree (vite, olivo e frutteti). Si tratta di attività che con il piano che si va ad approvare subiranno delle limitazioni spaziali (“Le coltivazioni orticole e frutticole, già esistenti alla data di adozione del Piano - si legge - sono consentite, in considerazione delle caratteristiche agro-geo-pedologiche e paesaggistiche della Riserva, su superfici non superiori al 5% della superficie aziendale compresa nell’area Protetta”). Allo stesso modo, le aziende agro-pastorali potranno avere, a seconda delle zone, da 1 a 1,4 bovini o da 7 a 9 pecore per ettaro. In compenso, “per i fini strettamente agricoli, sarà possibile, entro i limiti di cubatura previsti dalle norme, edificare nuovi volumi ove risultassero necessari”, purché all’interno di Piano di utilizzazione aziendale (PUA) che, comunque, come ha stabilito la sentenza n. 290/19 della Corte Costituzionale, deve rispettare la normativa relativa alle aree protette.

La parte non coltivata della Tenuta presenta una ricca biodiversità, con una flora e una fauna assai varie e zone umide.

Un territorio particolare, meritevole di studio, anche punto di vista geologico (essendo di origine vulcanica) e storico-archeologico, con la medioevale Torre dell’Acquafredda e un insediamento etrusco arcaico.

Con questo provvedimento che la Regione Lazio si appresta ad adottare, tornando alle “certezze” dell’urbanistica romana, si sono rese “necessarie modifiche consistenti ai limiti ufficiali istitutivi, in inclusione o anche in esclusione di aree edificate ovvero di aree molto compromesse nei valori ambientali che potrebbero determinare difficoltà di carattere gestionale”. Con quale criterio?

Sono state considerate prioritarie in inclusione le proprietà pubbliche ed in esclusione le proprietà private” (sic!), e così, ad esempio, escono dal perimetro “il fabbricato principale e l’area dei campi sportivi adiacenti la via Cornelia”. D’altronde, secondo gli estensori: “Il controllo e l’aggiornamento dei confini dovrebbe rientrare nelle normali attività di monitoraggio dell’area protetta, nell’intento di tutelarne i valori ambientali anche per come possono mutare nel corso degli anni”. Come dire che, se qualche privato realizzasse delle opere abusive, un domani il problema si risolve con un cambiamento di perimetro e, viceversa, aree pubbliche potrebbero esser sottoposte ad un regime vincolistico.

Sono previsti tre tipi di interventi, quelli pubblici hanno un costo complessivo di euro 2.595.079: progetti di recupero e manutenzione ambientale e paesistica; progetti ambientali d’area (interni e di raccordo con la città), che comprendono tra gli altri: il completamento dei servizi sportivi, la realizzazione di una struttura per la ricettività turistica e la realizzazione di servizi socio-sanitari e ricettivi a questi connessi (intervento definito di interesse pubblico); progetti integrati ambientali.

Con questa delibera, la Giunta della Pisana, “Ai sensi dell’art. 26, comma 6, della Legge Regionale, il Piano – con le sue zonizzazioni, destinazioni d’uso, disciplina delle risorse, norme di attuazione ed i suoi interventi – sostituisce con effetto immediato i piani paesistici ed i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello in vigore, senza che debba farsi luogo a qualsiasi forma di recepimento … fatte salve, ancorché in contrasto con l’articolazione in zone della Riserva, le norme e le previsioni degli strumenti urbanistici, generali ed attuativi, vigenti” nonché “gli interventi autorizzati ai sensi dell’art. 8, comma 9, della legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29 e ss.mm.ii., nonché quelli disciplinati ai sensi dell’art. 28 comma 1 della medesima legge regionale…il Piano è immediatamente vincolante per le pubbliche amministrazioni e i privati dal momento della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione. Il Piano ha validità a tempo indeterminato”.

Si è di fronte a una contraddizione in termini: da un lato, si afferma che trattasi, a tutti gli effetti, di una variante, perché si apportano modifiche sostanziali, che in parte sono in contrasto con il P.R.G. vigente approvato dal Comune di Roma - che recepiva il perimetro della Riserva naturale della Tenuta dell’Acquafredda - dall’altro lato, si afferma implicitamente che non verrà ripetuto l’iter di approvazione che portò alla definizione del perimetro del parco con la legge regionale n. 29 del 6 ottobre 1997, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione (BURL).

Il piano ha scatenato le proteste dei cittadini che si oppongono, in particolare, al progetto dell’ente ecclesiastico A.P.S.A. Per placarli, il consigliere Eugenio Patanè, presidente della commissione Lavori pubblici, infrastrutture, mobilità, trasporti della Regione, nei giorni scorsi ha dichiarato: «la maggioranza presenterà un emendamento per stralciare questo allegato. Si tratta di un piano approvato nel 2003 arrivato al termine di un lungo iter. Una modifica da parte della Giunta avrebbe fatto ripartire tutto l’iter dall’inizio per questo interverremo in Consiglio – e aggiunge – l’Apsa aveva avanzato questa richiesta perché aveva intenzione di realizzare una sede dell’ospedale Bambin Gesù ma nel frattempo sono state costruite quelle di Palidoro, Santa Marinella e San Paolo e questa previsione può ritenersi superata».

Una teoria, quella sull’iter, su cui dissente Angelo Bonelli, ex consigliere regionale dei Verdi, che dichiara: «la giunta Zingaretti avrebbe potuto stralciare la scheda sulla base dell’articolo 26, comma 4, della legge 29 del 1997 che stabilisce che la Giunta regionale “apporta eventuali modifiche ed integrazioni, pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute e ne propone al Consiglio regionale l’approvazione” – e aggiunge – il progetto edificatorio è incompatibile con le finalità della legge che nel 1997 ha istituito la Riserva naturale e con la legge quadro del 1991 per la tutela delle aree protette».

Gli interventi ammessi, infatti, devono rispettare le prescrizioni contenute nello strumento di tutela paesaggistica PTPR vigente e nella legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 e successive modifiche. Ma, come affermato in delibera, “Tali precisazioni non costituiscono variazioni di Piano, ai sensi dell’art. 26, co. 5 bis della legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29 e successive modifiche, ma ne rappresentano un riferimento interpretativo” (sic!).

Eppure, nella zona D5 si consentono per le aree di pertinenza del complesso sportivo “Forum”, scheda progetto n. 7: “interventi di completamento delle attrezzature sportive del centro esistente – poi specificati in palestre, campi sportivi coperti e attività commerciali - previa realizzazione di fasce verdi con funzione di protezione delle aree boscate e realizzazione di percorsi”.

La scheda di progetto n. 9, quella relativa all’APSA, prevede “interventi di realizzazione di servizi di interesse pubblico socio-sanitari e ricettivi, seppure, previo studio di impatto ambientale, … sottoposto alla valutazione dell’EdG e delle competenti autorità regionali, che precisi necessarie opere di mitigazione e prescrizioni progettuali necessarie al fine di salvaguardare le qualità paesistiche e naturalistiche dell’ambito, con particolare riferimento ai lembi di bosco limitrofi, prevedendo anche la creazione di fasce di protezione e filtro tra l’area di pertinenza delle strutture socio-sanitarie e le aree caratterizzate dalla presenza di vegetazione naturale e semi-naturale”. È il caso di dire una foglia di fico per nascondere, forse, l’impatto dell’intervento.

Questa vicenda non poteva sfuggire al famoso e autorevole urbanista Paolo Berdini che, sentito dal Foglietto, ha dichiarato: «Sembra che il tempo non passi mai. Antonio Cederna scriveva oltre 40 anni fa che alcune speculazioni nel parco dell’Appia Antica vennero approvate dagli organi competenti con la prescrizione di mettere a dimora quinte arboree. Cederna usava tutto il suo sarcasmo per demolire questa ipocrisia con cui territori magnifici venivano sfregiati dal cemento. All’epoca, la sua azione era sostenuta dalla sinistra italiana. Oggi i pallidi eredi di quel patrimonio culturale inestimabile vorrebbero autorizzare un mostro di cemento che da quasi trenta anni l’Apsa persegue con encomiabile costanza. Se questa scellerata scelta andasse in porto, sarebbe la fine dell’urbanistica pubblica e della gloriosa stagione che ha portato alle aree protette di Roma. Dobbiamo scongiurare questo scempio».

In Consiglio regionale ora v’è chi assicura che ci sarà lo stralcio della scheda n. 9, perché in contrasto con il Piano territoriale paesistico regionale (PTPR) approvato da qualche mese.

Sulla vicenda ha fatto prontamente sentire la propria voce la sezione romana di Italia Nostra, che ha scritto: "L’area della Riserva Naturale è stata salvata in lunghi anni di battaglia tra gli agricoltori e la proprietà e rappresenta a tutt’oggi l’unico polmone verde importante per i quartieri di Boccea e Primavalle. Impensabile che oggi, in sede di approvazione del Piano di assetto della Riserva, si ripresenti, come se nulla fosse accaduto nel frattempo, il tentativo di inserire una previsione edificatoria già esclusa fin dall’epoca della Variante delle Certezze e, comunque, in evidente violazione del PTPR adottato e approvato e del Prg".

La cubatura dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA) è da tempo in ballo, non potendo essere edificata nella riserva naturale dell’Acquafredda, all’epoca del sindaco Alemanno si tentò di spostarla, in cambio della cessione a patrimonio comunale di 60 ettari della tenuta, con una compensazione di ben 210mila mc in località La Mandriola (altra zona tutelata), dimenticando che non si possono concedere compensazioni per aree agricole. Sennonché, il Mibac (ministro Bondi) appose il vincolo sulla località La Mandriola a Laurentina, e il ricorso del Vaticano contro tale vincolo venne respinto nel 2010 dal Tar del Lazio con sentenza n.35386, confermata nel 2013 dal Consiglio di Stato, con sentenza n.535.

Ora staremo a vedere se vi sarà lo stralcio, oppure se, trascorsi 6 mesi dalla delibera della Giunta regionale, senza che il Consiglio si sia pronunciato, scatterà il silenzio assenso.

Ma, come dicevamo all’inizio, nella gestione del territorio a Roma e nel Lazio non v’è certezza se è vero, come è, che la legge istitutiva delle aree naturali della regione negli ultimi 18 anni è stata modificata da ben 21 leggi regionali: una media di quasi una modifica ogni 10 mesi!

Che dire, c’è da sperare che almeno Papa Francesco intervenga in coerenza con quanto scrive nella sua encilica Laudato sii: “La cura degli ecosistemi richiede uno sguardo che vada al di là dell’immediato, perché quando si cerca solo un profitto economico rapido e facile, a nessuno interessa veramente la loro preservazione. Ma il costo dei danni provocati dall’incuria egoistica è di gran lunga più elevato del beneficio economico che si può ottenere”.

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