di Antonio Del Gatto
I dipendenti pubblici che, dopo aver conseguito il diritto alla pensione di anzianità, optino, senza soluzione di continuità, per la prosecuzione dell’attività lavorativa in regime di part time, non potranno conseguire il diritto alla pensione piena durante tale attività.
Dovranno accontentarsi di percepirne una parte, oltre allo stipendio, con il limite di non superare l'ammontare della somma spettante al lavoratore, che a parità di condizioni presta la sua attività a tempo pieno.
Un lavoratore, infatti, dopo aver vinto sia in Tribunale che dinanzi alla Corte di Appello, è stato sconfitto in Cassazione (sent. n.4900 pubblicata il 27 marzo 2012), dove sono state accolte le tesi dell’Inps. All’esame dei Giudici la disposizione normativa di cui all’art. 1, comma 185, della legge 662/96, che consente la conversione del rapporto di lavoro a tempo pieno in part time, con godimento parziale del trattamento pensionistico.
La Cassazione ha chiarito che la predetta legge rientra tra quelle aventi portata speciale, riguardanti una determinata categoria di cittadini. In quanto tale non può essere abrogata da successive leggi aventi portata generale.
In particolare, dalla legge 289/2002 - invocata dal lavoratore - che ha fatto cadere il divieto di cumulo tra pensione e retribuzione, ma solo relativamente a coloro che dopo essere stati collocati in quiescenza, conseguono, in aggiunta al trattamento pensionistico pieno, un reddito da lavoro.