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Mercoledì, 03 Lug 2024

di Maurizio Sgroi*

Se per una volta volessimo esser cinici, dovremmo scrivere una verità tanto elementare quanto indicibile: la forza del nostro paese è il suo debito pubblico. Quel mostro da 2.000 miliardi di euro, una quota rilevante del quale, più o meno 700 miliardi secondo le ultime stime Ocse, in mano all’estero.

Se per una volta la smettessimo di flagellarci o farci flagellare dal nostro senso di colpa, alimentato da un trentennio di rimproveri internazionali, potremmo capire che il nostro debito pubblico è una bomba nascosta sulla quale è seduto il sistema finanziario mondiale, della quale noi teniamo in mano l’innesco.

 

Se per una volta fossimo spregiudicati, dovremmo urlare alle varie troike che decidono le politiche economiche degli stati che non siamo come la Grecia: siamo molto peggio.

Provate a farci fallire.

Invece, ancora una volta saremo riflessivi e perbene. Pagheremo i nostri debiti, come abbiamo sempre fatto, al semplice scopo di perpetuarli. Tanto più che adesso abbiamo anche un governo di larghe intese, che sarebbe più giusto chiamare di larghe spese, e gli spread scenderanno. Alla faccia dell’andamento crescente del rapporto debito/Pil che l’Ocse, nel suo ultimo economic surveys dedicato proprio all’Italia, vede in crescita fino a toccare il 134% l’anno prossimo.

D’altronde, è l’unica cosa in cui primeggiamo, il debito pubblico. Per il resto siamo un mezzo disastro. La nostra produttività è arretrata nell’ultimo decennio, mentre il nostro costo del lavoro rispetto a dieci anni fa, è cresciuto del 10% rispetto alla media Ocse e addirittura del 25% rispetto alla Germania.

I nostri conti esteri sono scoraggianti. A fine 2011 avevamo un deficit delle partite correnti sull’estero del 3,2% a fronte della media Ocse dello 0,7. La bilancia dei pagamenti era negativa per il 22,3% del Pil. La nostra crescita degli ultimi cinque anni è stata negativa per lo 0,6% del Pil, e pure peggio se guardiamo i dati dal 2000. Abbiamo il primato della crescita media più bassa dell’intera area.

Se volessimo peggiorare la nostra eurodepressione, potremmo segnalare che la spesa pensionistica rimarrà saldamente superiore al 15% del Pil, molto al di sopra della media Ocse, sebbene l’Italia abbia l’età di pensionamento più alta di tutti. La qualcosa, nota l’Ocse, se da un lato stabilizza la sostenibilità del sistema pensionistico, dall’altra è disastrosa per il mercato del lavoro.

Già: la disoccupazione. Il problema, sembra di capire leggendo fra le righe del rapporto, non è tanto che sia aumentata, ma che non sia aumentata abbastanza.

Nel 2008 il tasso di disoccupazione era l’8,4%. A fine 2012 eravamo al 10,6%, a fine 2014 è previsto che saremo all’11,8%. Tale aumento dovrebbe “diminuire la pressione sulla crescita dei salari”. La famosa medicina tedesca che anche noi dovremo sorbirci, visto che “il costo del lavoro per unità in Italia si è aggiustato di meno rispetto agli altri paesi in crisi, in cui una disoccupazione più elevata ha influenzato una correzione più marcata”. Con la conseguenza che ” si è deteriorata la competitività e quindi si sono ristretti i margini di profitto”.

Correggere la pericolosa tendenza a crescere del costo del lavoro italiano è una delle priorità che dovremmo darci, sempre in nome del nostro debito pubblico. A cominciare dal settore pubblico, dove i salari sono stati congelati, e per finire al privato, dove “i salari sono calati in alcuni casi, ma non abbastanza da recuperare il gap con Francia e Germania”.

Se il calo dei salari è il driver principale del recupero di competitività, il resto deve venire, spiega l’Ocse, dal sistema paese, che ha dei bachi strutturali gravi sul versante della giustizia civile, che ha tempi doppi rispetto agli altri paesi di definizione di una controversia commerciale, e della trasparenza.

Di buono c’è che abbiamo fatto alcuni progressi. Abbiamo, ad esempio, recuperato l’avanzo primario del bilancio pubblico, grazie a un aumento delle tasse, solo che siccome la crescita degli interessi che paghiamo sul debito arriverà al 5% del Pil nel 2014, sarà sempre più difficile mantenerlo. E ancora di più avere quel 2% fisso di avanzo primario che dovrebbe condurci gradualmente, intorno al 2030 ad avere un rapporto debito/pil intorno al 60%.

Sempre se la crescita riparte.

Il debito pubblico italiano, insomma, è il grande protagonista di questo economic surveys dell’Ocse. Segno evidente della preoccupazione che genera nel resto del mondo. Per capire perché basta ricordare che abbiamo il primato europeo, nel 2013, per la quantità di debito da rinnovare. Ben 282 miliardi da febbraio 2013 a fine anno, che dovremo trovare sui mercati interni e, soprattutto esteri.

Le nostre banche e assicurazioni, infatti, ormai sono gonfie fino a scoppiare di titoli di stato. Ne avevano in pancia un po’ meno di 600 miliardi nel 2007 e ormai veleggiano intorno ai 1.000, dovendosi far carico della fuga delle famiglie e degli investitori esteri dal Btp. Ed è chiaro che non possono continuare ad accumularne, pena mettere a rischio i propri coefficienti patrimoniali.

Una simpatica simulazione, infatti, mostra che un ipotetico haircut del debito italiano del 25% avrebbe effetti devastanti sui conti delle principali banche italiane, che, scrive l’Ocse, giocano molto sul fatto che sono “troppo grandi per fallire”.

E se tale gioco riesce bene alle banche, perché non dovrebbe riuscire all’Italia?

Il saldo Target 2 italiano, ossia la posizione netta della nostra banca centrale rispetto alla Bce, che era più o meno a zero fino all’estate 2011 è sprofondato a -290 miliardi nell’estate del 2012, il peggior risultato dopo la Spagna. Ciò è dovuto, spiega l’Ocse, al massiccio uso italiano del programma LTROs varato dalla banca centrale per dare liquidità al sistema, visto che dal nostro paese si calcola siano fuggiti circa 235 miliardi di euro di capitali nel periodo più acuto della crisi. In pratica, questi debiti con chi ci prestava soldi – per lo più banche tedesche e francesi - sono stati sostituiti con debito nei confronti della Bce, finché le banche estere non hanno ricominciato a prestarci i soldi. Quali banche? Sempre le stesse: le francesi e tedesche, visto che i saldi Target 2 per entrambe risultano in calo nel 2012.

Cosa è cambiato? Che abbiamo fatto i compiti a casa. Fornito più garanzie. E sempre di più ce ne chiederanno. Il nostro debito pubblico ci costringerà a deglutire chissà quanti amari bocconi nei prossimi vent’anni. A meno che non impariamo a usarlo per quello che è: un’arma di distruzione di massa.

Facciamola semplice: se l’Italia smettesse di pagare i propri debiti fallirebbe, senza dubbio, ma metterebbe in guai assai gravi la Bce, la Francia e la Germania, e quindi tutta l’eurozona, per non parlare del resto del mondo.

Simul stabunt simul cadent, dicevano i latini. I nostri partner devono pregare che l’Italia stia sempre in salute e pregheranno sempre più intensamente al crescere del nostro debito pubblico che saranno costretti a comprarsi, in una forma o nell’altra, ogni anno da qui all’eternità.

Un debito, specie quando è eterno, allunga la vita.

socio-economic journalist
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