di Adriana Spera
Quanto di negativo avevamo scritto nell’articolo di commento alla pubblicazione del decreto legge n. 101/2013, proposto dal ministro della Funzione Pubblica, D'Alìa, è stato puntualmente confermato, se non addirittura aggravato, dalla conversione in legge del medesimo, avvenuta dopo un lungo ping pong tra Camera e Senato.
La legge (n. 125/2013), recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, ha fatto la sua comparsa nella Gazzetta ufficiale n. 255 del 30 ottobre scorso.
Ad essere duramente colpiti dal provvedimento legislativo sono stati soprattutto i lavoratori a tempo determinato della pubblica amministrazione, le cui legittime aspettative sono state ancora una volta frustrate da un governo che, con qualche suo esponente, è stato addirittura capace di definire, forse beffardamente, il provvedimento come “Salva precari”.
Con maggiore onestà, avrebbe dovuto, invece, titolarlo “Affossa precari”. E sì, perché leggendo il testo, che pubblichiamo con in grassetto le modifiche apportate dal Parlamento rispetto al decreto 101 del governo, di quella che doveva essere la stagione della definitiva stabilizzazione degli oltre centomila precari che operano negli enti non c’è traccia.
In bella evidenza, invece, c’è l’intenzione di spaccare il fronte, con la promessa, perché tale è, di bandire, entro il 31 dicembre 2016, concorsi pubblici, con un numero di posti, pari al 50%, riservato a quanti “alla data di pubblicazione della legge, hanno maturato, negli ultimi cinque anni, almeno tre anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze dell’amministrazione che emana il bando, con esclusione, in ogni caso, dei servizi prestati presso gli uffici di diretta collaborazione degli organi politici”.
Il tutto, però, “nel rispetto del limite finanziario fissato dall'articolo 35, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno, nonché dei vincoli assunzionali previsti dalla legislazione vigente e, per le amministrazioni interessate, previo espletamento della procedura di cui all'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”.
Per quanti, invece, non hanno maturato il triennio, si delinea lo spettro del licenziamento, che avverrebbe alla scadenza del contratto in essere.
Una disposizione inqualificabile, che grida vendetta, soprattutto perché avallata da quella componente della “larghe intese”, il Pd, che, asseritamente, dichiara di essere dalla parte dei lavoratori e che, per di più, al momento è guidata da chi per anni è stato al vertice del sindacato di riferimento.
Per il futuro, recita la legge, le pubbliche amministrazioni potranno stipulate contratti a termine soltanto con vincitori e idonei di concorsi pubblici, mentre a regime potranno essere banditi nuovi concorsi, a condizione che siano stati assunti tutti i vincitori e tutti gli idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti e approvate a partire dal 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza.
Chi ritiene che la partita precari, che nella pubblica amministrazione coinvolge decine di migliaia di lavoratori, possa ritenersi conclusa con la conversione in legge dell'infausto decreto D’Alìa, forse avrà modo di ricredersi.