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Giovedì, 04 Lug 2024

La vicenda è esplosa sui media nei giorni scorsi, anche se Il Foglietto aveva lanciato l’allarme con un articolo del 4 febbraio.

Materia del contendere, l’interpretazione restrittiva data con una circolare dall’Istituto nazionale di previdenza sociale a una legge dello Stato, la n. 243/2004, che all’art. 1, comma 9, testualmente recita: “In via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, è confermata la possibilità di conseguire il diritto all'accesso al trattamento pensionistico di anzianità, in presenza di un'anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni e di un'età pari o superiore a 57 anni per le lavoratrici dipendenti e a 58 anni per le lavoratrici autonome, nei confronti delle lavoratrici che optano per una liquidazione del trattamento medesimo secondo le regole di calcolo del sistema contributivo previste dal decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 180. Entro il 31 dicembre 2015 il Governo verifica i risultati della predetta sperimentazione, al fine di una sua eventuale prosecuzione”.

La norma, scarsamente utilizzata sino alla fine del 2011, ha subito un assalto dopo l’entrata in vigore della tristemente nota riforma Fornero delle pensioni, che ha innalzato, e non di poco, l’asticella per poter approdare alla quiescenza.

Stando ai dati recentemente diffusi dall’Inps, a chiedere la pensione con le vecchie regole, ma da liquidarsi con il solo sistema “contributivo”, che comporta rispetto al “retributivo” in media una riduzione dell’assegno mensile di circa il 30%, sono state oltre 17 mila lavoratrici (pubbliche, private e autonome), di cui oltre 15 mila, un vero boom, dal 1° gennaio 2012 a oggi.

Di queste, però, circa 6 mila non potranno accedere alla pensione anticipata a causa delle disposizioni contenute al punto 7.2 della circolare del 4 marzo 2012 (la n. 35), che ha interpretato, in senso del tutto restrittivo, la portata del suddetto comma 9, precisando che il 31 dicembre 2015 non è il termine ultimo per presentare la domanda di opzione per il trattamento pensionistico “contributivo”, ma la data entro la quale la richiedente deve aver maturato il diritto a percepire l’assegno mensile di quiescenza, per ottenere il quale occorre aggiungere ai 57 anni di età altri 15 mesi (21 per le lavoratrici dipendenti), vale a dire 12 mesi di attesa per l’apertura della “finestra mobile” di uscita e 3 mesi per l’aumento della speranza di vita.

In pratica, la dipendente che ancora volesse utilizzare la legge 243, che andrà a scadere alla fine del 2015, deve aver compiuto 57 anni di età entro il 30 settembre 2014; per le autonome, invece, 58 anni entro il 28 febbraio del corrente anno.

L’interpretazione della norma fatta con la richiamata circolare dell’Inps – come scrivevamo nel nostro precedente articolo - ha sollevato forti perplessità, tant’è che in Commissione Lavoro è stata approvata una risoluzione (prima firmataria Marialuisa Gnecchi, deputata del Partito democratico), che impegnava  “il Governo a sollecitare l'Inps, anche allo scopo di evitare contenziosi già avviati e futuri, a rivedere il punto 7.2 della circolare n. 35 concernente la liquidazione del trattamento pensionistico per le lavoratrici in regime sperimentale, nel senso che per tali lavoratrici non deve essere applicata la finestra mobile per la decorrenza del trattamento pensionistico né le aspettative di vita, ma resta valida la semplice maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015, come peraltro chiaramente definito nella citata disposizione di cui all'articolo 24, comma 14”.

All’iniziativa parlamentare è seguito il silenzio da parte del Governo, mentre l’Inps ha fatto finta di nulla.

Diverso il comportamento delle migliaia di donne interessate, che hanno dato vita al battagliero Comitato Opzione Donna, di cui è portavoce Dianella Maroni, dirigente del Comune di Ravenna, che preannuncia una pioggia di ricorsi, se non ci sarà una soluzione politica.

Mentre l’Inps sostiene che una applicazione estensiva della norma ha costi eccessivi, il Comitato, e non a torto, è di avviso opposto e precisa che, “se si considerano le decurtazioni agli assegni di pensione per le donne che optassero per la quiescenza anticipata fino al 2019, si scopre che lo Stato risparmierebbe oltre 1 miliardo e cento milioni”.

Siamo di fronte, dunque, a una storia di spending review alla rovescia!

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