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Giovedì, 04 Lug 2024

Parlare del Portogallo è come parlare di noi. Me ne accorgo leggendo l’ultimo rapporto della Commissione europea che monitora lo stato di aggiustamento del piccolo paese, finito sotto le amorevoli cure della Troika dopo il quasi dissesto post 2008. Ci somigliamo, noi e i portoghesi, e non soltanto perché abitanti dell’Europa mediterranea, che così tanto ha patito negli ultimi sei anni, ma soprattutto perché i problemi ai quali il Portogallo ha dovuto far fronte ricordano terribilmente quelli con cui noi siamo chiamati a fare i conti, dovendo convivere con l’ipoteca della Troika, che con fare vagamente avvoltoio, minaccia la nostra pace mentale.

Perciò diventa assai utile raccontare cosa sia successo in Portogallo dal 2011 al 2014, e segnatamente fino a giugno di quest’anno, quando si è concluso, per decisione del governo, il programma gestito da Fmi, Bce e Commissione, grazie al quale il Paese ha dissipato al momento l’ombra di un fallimento imminente. E così scoprire che nonostante le imponenti misure decise e applicate sotto l’occhiuta sorveglianza dei commissari esteri – anche queste terribilmente simili a quelle che dovremmo applicare noi – non solo il Portogallo non è ancora fuori dai tormenti, ma rischia di ricaderci di nuovo, dovendo peraltro fare i conti con una situazione debitoria sostanzialmente eterna. E anche questa circostanza ce li rende fratelli di sventura.

La fine della storia è che “il programma ha stabilizzato l’economia e il sistema finanziario, oltre ad aver provveduto a mettere le basi per un ritorno del Portogallo a una crescita sostenibile e alla creazione di posti di lavoro. Tuttavia l’economia rimane vulnerabile a futuri shock negativi e ulteriori progressi sono necessari per consolidare le finanze pubbliche, salvaguardare la stabilità finanziaria e migliorare la competitività”.

Serviranno, insomma, nuove e più profonde riforme strutturali. Il paese, infatti, “necessita urgentemente di una credibile strategia a medio termine” per riparare un meccanismo economico ancora inceppato, dove campeggiano come atti d’accusa un notevole indebitamento  e alti livelli di povertà e disoccupazione.

Sono parole che la Commissione Ue ha scritto nel rapporto finale sul Portogallo ma che, lo vedete bene, potrebbero tranquillamente applicarsi al caso nostro. E la circostanza che siano state scritte di recente, dovrebbe anche farci riflettere su quanto le correzioni imposte dalla Troika siano davvero capaci di fare uscire dal tunnel un paese che ci sia finito dentro.

Sarà per questo che, come nota la Commissione, il programma di assistenza si è interrotto “in maniera non convenzionale” lo scorso 12 giugno per decisione del governo, che ha “cacciato” la Troika senza peraltro neanche accedere all’ultima tranche di un finanziamento di 2,6 miliardi che faceva parte del piano, aggravando perciò le conseguenze della decisione della Corte costituzionale, del 30 maggio, di bocciare, reputandole non costituzionali, alcune importanti decisioni fiscali prese in precedenza. E anche in questo il Portogallo ci somiglia: ha deciso di provare a farcela da solo.

La decisione della Corte ha aperto un buco corrispondente allo 0,4% del Pil pari all’entità della correzione che le regole bocciate avrebbero indotto nell’indebitamento netto, mettendo quindi in serio rischio il target del 4% per il deficit/pil 2014, e anche quello del 2015, quando si prevedeva che il rapporto sarebbe finalmente sceso sotto il 3%. Il governo ha assicurato nuove norme per riparare la falla, ma anche queste sono finite all’attenzione dei giudizi costituzionali, divenuti improvvisamente l’anti-Troika.

In tale contesto istituzionale, perlomeno confuso, il Portogallo si trova a dover fare i conti con una situazione macroeconomica e finanziaria altrettanto complessa.

Per un lungo periodo il paese ha accoppiato bassa crescita e altrettanto bassa produttività cumulando squilibri sia all’interno che, soprattutto, all’esterno, che hanno generato un notevole aumento dell’indebitamento di famiglie e imprese e, dulcis in fundo, dello Stato. Con l’esplodere della crisi tutti i nodi sono venuti al pettine ed è dovuta intervenire la Troika, avendo il governo chiesto aiuti internazionali dopo l’esplosione degli spread e la forte fibrillazione delle banche, ormai impossibilitate a recuperare all’estero i fondi necessari al proprio funzionamento.

Nel triennio 2011-2014 è stata attuata una dura correzione degli squilibri. Nel settore produttivo con vocazione all’export il costo del lavoro unitario è diminuito del 5% fra il 2009 e il 2013, mentre nel settore non tradable tale correzione si è avviata solo nel 2011, conducendo peraltro a una notevole diminuzione del numero dei dipendenti pubblici. Riduzioni di stipendi e posti di lavoro, d’altronde, sono state alla base della riforma del mercato del lavoro. Vi fischiano le orecchie?

Al contempo, sono state approvate importanti riforme: del sistema giudiziario, dell’amministrazione pubblica, del sistema fiscale, temi ormai all’ordine del giorno anche da noi (almeno a parole), fino a che la Corte costituzionale non ha iniziato a metterci lo zampino, suscitando notevoli preoccupazioni nella Troika.

Ma la correzione c’è stata, e anche robusta. il conto corrente della bilancia dei pagamenti è passato da un deficit dell’11% del pil a un surplus dello 0,4, il primo surplus degli ultimi 40 anni, ottenuto per lo più con la compressione decisa della domanda interna. Non vi ricorda qualcosa?

Il rilancio delle esportazioni, conseguenza dell’aumento di competitività, ha fatto schizzare al 40% la quota dell’export sul Pil portoghese nel 2014 che, però, nota la Commissione “è ancora bassa rispetto ad altre economie comparabili dell’eurozona”.

Insomma: si doveva e si dovrà fare assai di più: “La trasformazione dell’economia attraverso una crescita export-led deve proseguire se la ripresa deve essere sostenuta”. E anche questo mi ha fatto tornare in mente il recente rapporto del Fmi su di noi. Vi basti sapere che per mantenere i propri debiti sostenibili, il Portogallo dovrebbe tornare a un tasso di crescita potenziale di almeno il 2%. E, purtroppo per loro, “i rischi dell’outlook nel medio termine appaiono orientati al ribasso”.

Sul versante fiscale, fra il 2010 e il 2013 il deficit è passato dal 9,8% del Pil al 4,5, e abbiamo visto che si prevedeva, per il 2014, un calo ulteriore al 4%, prima però che intervenisse la Corte costituzionale. Consono per il ciclo, tale aggiustamento corrisponde a una rettifica del 6% del Pil cui, aggiungendo la correzione del saldo primario relativo, si arriva a un consolidamento totale del 12,5% dello stesso Pil in tre anni. Chissà perché leggendo queste cifre mi è tornata in mente l’ultima nota di aggiornamento del Def pubblicata dal governo.

Purtroppo (ma guarda un po’) la correzione ha aggravato la recessione e, quindi, indirettamente, peggiorato i saldi fiscali, visto che sono diminuite le entrate ed è peggiorata la spesa sociale. Per darvi un’idea, nel 2013 la spesa per i sussidi di disoccupazione è stata del 40% superiore rispetto a quella del 2010, e quella per le pensioni, malgrado le leggi draconiane che hanno pure previsto un contributo straordinario di solidarietà, è aumentata dell’11%. Lo stop imposto dalla Corte costituzionale ha fatto il resto. E adesso il Portogallo si trova di nuovo costretto a rimettere in campo misure di consolidamento fiscale che evidentemente non bastano mai.

Sul versante del debito pubblico, la Commissione rileva che il Portogallo quota oltre il 130% del Pil. “Fra i più alti nell’eurozona”. Inutile che vi ricordi che è in buona compagnia. E ciò malgrado un programma di privatizzazioni (e anche questo mi ricorda qualcosa) da 5,5 miliardi concluso positivamente (a differenza del nostro) già a dicembre 2012, che a giugno del 2014 aveva già raggiunto i nove miliardi.

Infine, rimane la questione della stabilità finanziaria, tornata d’improvviso d’attualità dopo il crash estivo del Banco Espirito Santo, per fortuna intervenuto, rileva la Commissione, in un contesto con sistema bancario disindebitato e ricapitalizzato. La risoluzione della banca - osserva - è avvenuta senza contagi, pur avendo danneggiato l’immagine del Portogallo, “per lo più grazie alle precedenti misure adottate dal programma di assistenza”. Insomma: la Troika non solo ha salvato il Portogallo, ma ha pure evitato che il fallimento del Bes diventasse un evento sistemico.

Insomma: la Troika ti salva la vita e strappa applausi al pubblico pagante. Cosa aspettiamo ad invitarla a casa nostra?

Lo spettacolo dell’Italia portoghese sbancherà al botteghino.

Il biglietto però lo pagheremo noi.

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