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Mercoledì, 03 Lug 2024

La cronaca di qualche settimana fa ha acceso un faro sulla gestione della cosa pubblica al comune di Roma.  Da quanto è finora emerso, sembra che, per anni, ci sia stato un connubio poco edificante tra alcuni loschi personaggi che avevano la responsabilità, e l’onore, di ricoprire incarichi pubblici ed un gruppo di affaristi, imprenditori e pregiudicati. Il sistema era semplice e ben collaudato. Esisteva anche una parola magica: emergenza.

Emergenza immigrati, emergenza rom, emergenza casa, emergenza rifiuti. Era sufficiente che venisse  decretata l’esistenza dello stato di emergenza e si superavano d’incanto le norme del codice degli appalti.  E la gestione dell’accoglienza di persone in difficoltà, l’assegnazione di alloggi o la raccolta e smaltimento rifiuti, divenivano terreno facile per la corruzione.

“E’ la teoria del mondo di mezzo compà ... ci stanno … come si dice … i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo. Il mondo di mezzo è quello invece dove tutto si incontra … si incontrano tutti là ...ma non per una questione di ceto … per una questione di merito, no? allora nel mezzo, anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno”.

E’ la ricostruzione del sistema del malaffare capitolino fatta da colui che comandava la terra di mezzo, Massimo Carminati, nel corso di una conversazione telefonica intercettata.

Ma quali circostanze hanno reso tali episodi così notiziabili? Che anche a Roma ci fosse criminalità e ben organizzata? Che la politica fosse trasversalmente invischiata  e che maneggiasse veri fiumi di denaro? Che la corruzione ed il degrado morale fossero presenti nella maggior parte degli episodi della nostra vita? Sembrano tutte questioni non nuove.

L’unica novità è stata quella di accostare la parola mafia alla parola capitale. Mafia Capitale è, infatti, l’inchiesta che sta facendo tremare i palazzi romani.  Abbinamento che varrebbe da solo il prezzo del biglietto di un eventuale, e probabile, film su tali accadimenti.

Ma trattasi davvero di mafia? E se è così, quali caratteri hanno consentito che fatti e strutture criminali indossassero gli abiti della potente organizzazione malavitosa?

Raccontava Giovanni Falcone che un suo collega romano nel 1980 durante una visita al boss mafioso Frank Coppola, appena arrestato, gli chiese: “Signor Coppola che cosa è la mafia?”

Il vecchio boss, dopo una breve riflessione, rispose “Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia”.

Sembrerebbe che, in base a tale criterio e considerato quanto emerso dalle intercettazioni dei personaggi coinvolti nell’inchiesta, di cretini ce ne siano. E tanti. Politici, dirigenti, imprenditori, appartenenti alle forze dell’ordine, cittadini qualunque. Tutti devoti al dio denaro, tutti uniti per il raggiungimento di un qualche obiettivo; oggi un appalto, domani un incarico, dopodomani un posto di lavoro e poi, ancora, un nuovo appalto, un migliore incarico, un prestigioso posto da dirigente. E non importa se non si hanno i requisiti per partecipare all’appalto, irrilevante se non si hanno le professionalità per assolvere quel dato incarico, meglio se si è cretini per ottenere il posto di lavoro.

Quelli emersi, sono fatti e comportamenti delinquenziali molto gravi e diffusi, ma non solo nella capitale. E se trattasi effettivamente di reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, se cioè sussiste l’aggravante della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di soggezione e di omertà che ne deriva, non è questione importante. Se non nella misura di avere maggiori possibilità di assicurare gli autori dei reati alle patrie galere. Tale fattispecie, infatti, oltre a prevedere l’obbligo dell’arresto e pene più severe, ha tempi di prescrizione più ampi rispetto all’associazione a delinquere senza l’aggravante mafiosa.

Importante è, invece, poter nutrire la speranza che comportamenti delinquenziali, mafiosi o meno, non siano più all’ordine del giorno. Importante è non trovarsi più di fronte a concorsi dove non è il più bravo a vincere, né ad incarichi dove è il grado di parentela a costituire titolo di merito, né a gare d’appalto aggiudicate alla società con minori requisiti.

E perché questo accada, è necessario che, innanzitutto, al momento del voto l’elettore dia il proprio consenso a candidati di specchiata onestà e moralità e che chi è chiamato ad effettuare scelte di interesse collettivo, come ad esempio la nomina di direttori generali, centrali o di dipartimento in importanti enti pubblici, tenga ben presente la responsabilità alla quale è chiamato. E nel fare le proprie scelte valuti il merito, lo spessore e l’integrità dei singoli aspiranti e non le opportunità o le conseguenze che tali scelte naturalmente generano.

Non è ammissibile, infatti, che chi, per anni, ha cancellato il merito, ha deriso il senso del giusto, ha offeso la dignità del lavoratore possa essere chiamato o confermato a ricoprire incarichi dirigenziali.

Né può considerarsi una soluzione accettabile un diverso e meno prestigioso incarico, neppure se sollecitato dalla solita telefonata amica; perché l’unica ricetta per vivere in una società sana e progredita è che ognuno faccia, semplicemente, il proprio dovere. Con onestà e competenza.

Il tempo dei cretini deve finire!

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