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Giovedì, 04 Lug 2024

ASN POLLICEChi ci legge sa che abbiamo sempre seguito la materia dell’abilitazione scientifica nazionale (ASN), anche nella sua “fase patologica”, ossia del contenzioso giurisdizionale, cercando di informare sugli orientamenti della giurisprudenza, nella consapevolezza che il diritto, che piaccia o meno, è, in definitiva, quello che esce dai tribunali.


Sennonché, quella che abbiamo definito, poiché tale è, come una patologia, continuando di questo passo, si avvia pericolosamente a diventare la fisiologia del sistema, che dunque va, prima possibile, corretto, se si vuole, come si deve, scongiurarne la paralisi.

E’ infatti sotto gli occhi di tutti che il contenzioso col Miur sulle ASN, progressivamente cresciuto, ha ora raggiunto dimensioni preoccupanti, non solo sul piano quantitativo, ma anche sotto il profilo della sua “univocità”, dato che il Miur ne esce sempre soccombente.

Senza pretesa di completezza, dobbiamo rilevare che solo in quest’ultimo mese il Tar Lazio ha emesso  una serie di decisioni, tutte di condanna del Miur, che hanno riguardato l’ASN nelle materie le più diverse: dall’economia alla geochimica, dalla chirurgia alla demografia, alla scienza politica.

L’annullamento deriva: in un caso, dal fatto che non basta  nemmeno il superamento di tutte e tre le mediane a impedire che la commissione si pronunci per la non idoneità, deliberata per di più in assenza di una  sufficiente motivazione della sua scelta, avvenuta senza valutare analiticamente i lavori del candidato (Tar Lazio, III, n.2574/2016); in un altro, dall’insanabile contraddizione tra giudizio di merito positivo e mancata abilitazione (Tar Lazio, III, 2573/2016); in un altro ancora, dal fatto che, a fronte dei giudizi positivi dei commissari, si nega l’idoneità sul presupposto, del tutto arbitrario, che nel decennio precedente il candidato non aveva un’intensa produzione scientifica, laddove, viceversa, aveva prodotto 22 pubblicazioni (Tar Lazio, III, 2570/2016); in un altro, poi, dal difetto di istruttoria e di motivazione, conseguente a giudizi sintetici, che vengono solo ripetuti nel giudizio collegiale (Tar Lazio, III, 1681/2016); in un altro, simile al precedente, dalla non coerenza del giudizio collegiale rispetto ai giudizi individuali e dalla genericità di questi, onde non si evincono le ragioni delle valutazioni negative effettuate dai commissari (Tar Lazio, III, 1879/2016); in un altro, infine, dalla incoerenza con il settore concorsuale della composizione della commissione, perché di questa era stato chiamato a far parte un docente di altra materia (Tar Lazio, III, 557/2016), circostanza che lascia basiti, perché sembra che non si riesca più nemmeno a costituire una commissione regolare.

In tutti i casi, il giudice amministrativo ha ordinato di rifare il concorso con una commissione in diversa composizione. Il che significa, né più né meno, tempo e danaro sprecato.

Come detto all’inizio, stiamo, dunque, assistendo, come testimoniano gli esempi testé riportati, da un lato, a una crescente proposizione di ricorsi in una materia, quale quella dei concorsi universitari, un tempo di fatto sottratta al vaglio dei giudici; dall’altro, a un continuo e quasi ininterrotto flusso di accoglimenti dei ricorsi stessi, segno inequivocabile della ormai conseguita piena sindacabilità dell’operato delle commissioni, finora contraddistinto dalla più ampia e indiscussa discrezionalità.

E’ finita un’epoca, anche se c’è ancora chi sembra non darsene per inteso. Sarebbe, invece, il caso di prendere atto delle dure repliche della giurisprudenza, quale premessa a una rapida e concreta inversione di rotta.

Oggi, intanto, il consiglio dei ministri dovrebbe, salvo sorprese, approvare il decreto con le regole per la nuova abilitazione. Vedremo se si terrà conto delle tante sentenze della Giustizia amministrativa. In caso contrario, saremmo al “diabolicum perseverare”.

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