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Lunedì, 06 Mag 2024

iobici2La Suprema Corte di Cassazione - Sezione Lavoro - con sentenza n. 7313 del 13 aprile 2016, ha reso giustizia ad un dipendente che, recatosi al lavoro in bicicletta, rimasto vittima di un incidente, si era visto negare il riconoscimento dell’infortunio in itinere dalla Corte di Appello di Firenze, dopo l’esito positivo del giudizio di primo grado.

A differenza del primo giudice, la corte territoriale aveva ritenuto che la distanza casa-lavoro fosse troppo lontana per andare a piedi, in considerazione delle esigenze legate ad una famiglia con una persona anziana da assistere; e non abbastanza lontana per l’uso del mezzo pubblico; la Corte d’Appello di Firenze aveva sostenuto che il lavoratore non avesse provato la contingente necessità dedotta (somministrare un’iniezione alla suocera) per fare ricorso al mezzo privato. E poiché il percorso da coprire, benché non servito da mezzi pubblici, era di soli 500 metri, doveva ritenersi che l’uso del mezzo privato non fosse comunque necessitato, potendo lo stesso percorso essere coperto a piedi nel giro di pochi minuti (quantificati in 7,5).

La Corte d’Appello, inoltre, aggiungeva che l’utilizzo della bicicletta in città, in quanto soggetto ai pericoli del traffico, rappresentava un aggravamento del rischio rispetto all’andare a piedi, tanto più nel mese di gennaio, quando si era verificato l’infortunio.

Tale tesi, però, non è stata condivisa dalla Cassazione, che ha ritenuto fondato l’unico motivo di censura proposto dal ricorrente, per il quale nell’infortunio in itinere l’uso della bicicletta deve essere incluso nella tutela assicurativa, in relazione alla necessità protetta dall’ordinamento di favorire spostamenti che riducano costi economici, ambientali e sociali.

I Giudici della Suprema Corte, richiamando precedenti pronunce, hanno affermato che l’assicurazione per l’infortunio in itinere comprende “anche l'uso del mezzo di trasporto privato, allorché imposto da particolari esigenze nell’ambito delle quali preminente rilievo assumono i luoghi in cui la personalità dell’individuo si realizza in rapporto con la comunità familiare”; aggiungendo che “si tratta di una definizione dell’infortunio in itinere che va senz’altro condivisa perché maggior rispettosa dei canoni costituzionali della ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della protezione dei lavoratori in caso di infortunio (art. 38 secondo Cost.)”.

In conclusione, per la Suprema Corte, l’utilizzo della bicicletta da parte del lavoratori per raggiungere il posto di lavoro deve essere valutato non in base alla distanza da percorrere, bensì in relazione al costume sociale, alle normali esigenze familiari del medesimo (anche senza la presenza di contingenti necessità quale quella allegata ma non provata nel giudizio di merito), alla presenza di mezzi pubblici, alla modalità di organizzazione dei servizi pubblici di trasporto nei luoghi in cui più è diffuso l’uso della bicicletta, alla tipologia del percorso effettuato (un conto è l’impiego in un percorso urbano, un conto su una strada non urbana), alle condizioni climatiche in atto (e non tanto a quelle stagionali), alla tendenza presente nell’ordinamento e rivolta all’incentivazione dell’uso della bicicletta (codice della strada; legge 221/2015).

Si tratta di una sentenza che non potrà non essere accolta con soddisfazione dai milioni di italiani, che quotidianamente, o quasi, fanno uso della bicicletta.

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