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Mercoledì, 03 Lug 2024

analisi voto partitiTra le analisi sul voto degli italiani alle recenti elezioni politiche quella per categoria sociale presenta degli elementi di particolare chiarezza.

Tra i vari sondaggi che si sono succeduti, la società Quorum ha proposto una distinzione degli elettori per categoria sociale evidenziando, e forse chiarendo, come i partiti hanno saputo o non saputo attrarre verso di sé i voti. Tale sondaggio, su un campione di 3.220 cittadini intervistati telefonicamente, è stato effettuato qualche giorno prima delle elezioni ed è stato pubblicato alcuni giorni dopo.

Confrontando le percentuali di voti per singola categoria, rispetto alla percentuale generale per singolo partito, si può misurare l’effetto sulle categorie sociali del richiamo elettorale e delle promesse dei partiti, in punti percentuali in più o in meno dalla media.

Il voto alla Lega è quello che registra meno variabilità tra le categorie sociali (con un coefficiente di variazione pari a 0,14 che denota percentuali molto simili), evidenziando delle motivazioni trasversali nel voto che potrebbero essere riconducibili ai temi dell’immigrazione, all’abolizione dei vincoli per andare in pensione o alla flat tax.

Il voto al Movimento 5 Stelle ha una variabilità relativamente maggiore (coefficiente di variazione pari a 0,26), evidenziando, anche in questo caso, una motivazione trasversale come potrebbe essere quella del cambiamento con nuovi protagonisti della politica non professionisti. Il Movimento 5 Stelle ha saputo far convogliare su di sé, con la proposta del reddito di cittadinanza, gran parte dei voti dei disoccupati conclamati (che hanno dato al Movimento 9,1 punti percentuali in più rispetto alla percentuale media del 32,7%) e di quelli preoccupati di diventarlo come gli studenti, le casalinghe, che potrebbero cercare un lavoro per sé o che lo vorrebbero per i propri figli o mariti, e i dipendenti precari. Al contrario, il Movimento non ha saputo richiamare né i pensionati né i lavoratori autonomi.

Il voto al Partito Democratico mostra una variabilità ancora maggiore (con un coefficiente di variazione pari a 0,30), evidenziando una scarsa motivazione trasversale. Il Partito Democratico ha però saputo attrarre i pensionati (probabilmente ancora “fedeli” al partito) e, in misura minore, i lavoratori autonomi, con la proposta di estensione del bonus di 80 euro alle Partite Iva, ma non ha saputo coinvolgere i disoccupati e le casalinghe (nonostante il contributo per i figli).

Il voto a Forza Italia è quello con la maggiore variabilità tra le categorie sociali (con un coefficiente di variazione pari a 0,34), che dimostra una ancora più scarsa motivazione trasversale. Forza Italia ha saputo attrarre in maniera rilevante solo i voti dei pensionati, proponendo l’aumento della pensione minima a 1.000 euro, mentre non ha raccolto il favore degli studenti, dei dipendenti e dei disoccupati.

Le singole categorie sociali hanno quindi aderito con valutazioni mirate alle principali proposte dei singoli partiti, molte delle quali contengono promesse di evidenti vantaggi economici ad essere indirizzati. Al contempo, altre proposte o altri punti di forza dei programmi dei partiti non risultano altrettanto evidenti in questa suddivisione del voto per categoria sociale.

Le espressioni di voto in base a motivazioni trasversali o a meri vantaggi economici possono nascondere però altre ragioni, spesso ancora di natura economica, che hanno radici più profonde nell’esperienza recente degli italiani.

Ad esempio, molti pensionati che non hanno versato contributi previdenziali o ne hanno versati pochi per varie vicende personali, hanno constatato che gli importi delle pensioni ricevute sono piuttosto bassi.

I disoccupati, i lavoratori precari, gli studenti e le casalinghe che hanno riscontrato, direttamente o indirettamente, persistenti difficoltà nel conseguire redditi da lavoro sono alla ricerca attiva di un qualche reddito alternativo.

Una motivazione ancora più profonda può essere ricercata però nel fatto che a moltissimi giovani stia sfuggendo la possibilità di trovare un lavoro che gli consenta di creare una famiglia e avere dei figli come costantemente fotografato dall’Istat.

Il tasso di occupazione dei giovani dai 15 ai 39 anni, compresi i lavoratori a tempo determinato, è sceso, dal 2008 al 2017, dal 57,0% al 48,3% con una differenza di -8,7 punti percentuali, mentre quello della popolazione dai 40 ai 64 anni è aumentato, nello stesso periodo, dal 60,1% al 65,1% con una differenza di +5,0 punti percentuali. I matrimoni sono in netto calo, dai 247 mila del 2008 ai 194 mila nel 2015, con una riduzione del 21,5% in sette anni, e il numero di nascite è passato da 577 mila del 2008 a 464 mila nel 2017, in contrazione del 19,6% in nove anni. Percentuali molto più ampie della diminuzione dell’11,3% di abitanti in età 15-39.

Certamente le crisi finanziare ed economiche di quest’ultimo decennio sono state particolarmente pesanti. Peraltro, aggravate nel nostro Paese dalle precedenti gestioni “allegre” delle finanze pubbliche, come le spese per le pensioni a cinquant’anni o i costi degli appalti che triplicavano nel tempo.

Le generazioni adulte hanno però ricevuto una maggiore attenzione dalle politiche messe in atto dai vari governi mentre quelle più giovani denunciano una atenzione molto scarsa nei loro confronti.

Le generazioni relativamente giovani senza un lavoro più o meno stabile acuiscono le diseguaglianze tra famiglie, le distanze tra nord e sud e tra centro e periferia. Esse sono anche maggiormente esposte a paure di tutti i tipi: da quella di non farcela da soli a quella che gli immigrati siano dei concorrenti.

I disoccupati e le altre categorie sociali più vulnerabili sono costantemente in cerca di un autore che possa interessarsi di loro, come i sei personaggi di Pirandello, e ne scelgono uno nuovo ad ogni tornata elettorale.

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