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Domenica, 19 Mag 2024

di Roberto Badel

Ignorate dai media nazionali, si succedono in questi giorni le lotte, tra scioperi della fame e sommosse, nei CIE di tutt'Italia.

Il 13 marzo a Ponte Galeria durante un presidio di solidarietà che porta cibi e bevande ai reclusi, una trentina di loro sale sopra i tetti delle celle invocando la libertà mentre scoppiano vari piccoli incendi. A solidarizzare coi migranti sono in poche centinaia.

Non ci sono i partiti e non c'è il popolo viola. Non stupisce il silenzio di una certa "sinistra". I CIE (Centri di identificazione ed espulsione), sono stati istituiti, con il nome di CPT (Centri di permanenza temporanea), nel 98 dalla legge Turco-Napolitano, all'epoca del 1° Governo Prodi.

È cambiato il nome ma non la vita d'inferno. Lo dice il rapporto di Medici Senza Frontiere che li ha visitati tra il 2008 e il 2009 (Al di là del muro. Viaggio nei centri per migranti in Italia. Gennaio 2010), riscontrando "numerosi fattori di malfunzionamento ed episodi di scarsa tutela dei diritti fondamentali (…), come contatti carenti con il SSN, insufficiente assistenza sanitaria, legale, sociale e psicologica, diffusi segnali di profondo malessere tra i trattenuti: autolesionismi, risse, rivolte, richieste di sedativi, ripetuto ricorso ai servizi sanitari". Ci sono "alte mura di cinta, filo spinato e sbarre di ferro vigilate da agenti armati e, all'interno, blocchi alloggiativi rigidamente isolati dal resto della struttura da inferriate e cancelli serrati".

Nei CIE non ci finisce chi delinque, ma i lavoratori senza permesso di soggiorno perché tenuti "in nero" dai padroni italiani. Molti erano in regola ma hanno perso il lavoro e conservano ancora i modelli Cud. Spesso vivono da molti anni in Italia con le loro famiglie (il tempo medio di permanenza in Italia accertato è di 7 anni e 4 mesi). Ma è possibile trovare anche richiedenti asilo politico, immigrati appena arrivati in Italia, stranieri nati qui.

A Ponte Galeria si registrava "una gestione del centro negligente, soprattutto per quanto riguarda la pulizia degli spazi comuni, la manutenzione degli impianti idraulici e di aria condizionata. Molti trattenuti d'inverno vivono all'addiaccio, in stanze senza riscaldamento, con indumenti leggeri e una sola coperta, mentre d'estate sono privi anche di vestiario intimo con cui cambiarsi".

Con il recente pacchetto-sicurezza questo inferno può protrarsi fino a 180 giorni. Com'è possibile tollerare la presenza di questi lager? Chi ha il potere, giocando sulla paura della gente, fa passare la tesi della pericolosità degli immigrati per distogliere la rabbia dei lavoratori italiani dai veri responsabili del peggioramento delle condizioni di vita, del precariato, dei tagli alla spesa sociale; aizza così la guerra tra poveri, ora tra lavoratori italiani e immigrati come altre volte tra occupati e disoccupati, giovani e anziani, settentrionali e meridionali, con l'obiettivo di indebolire la forza contrattuale di tutti.

La risposta, l'unica efficace, sta nell'unità tra i lavoratori. Tenere senza diritti e quindi ricattabili i lavoratori immigrati, consente di ricattare anche gli italiani con lo spauracchio che il lavoro venga dato agli stranieri. Più i diritti ci saranno per gli immigrati dunque e più forti saranno tutti i lavoratori. Ma oggi denunciare quello che succede nei CIE è, prima di tutto, una questione di umanità. Chi ne ha ancora, ha il dovere di sottrarsi a quell'indifferenza che è anche complicità.

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