Con l’articolo di ieri, ci siamo lasciati ieri con un paio di domande, discorrendo del sostanziale dimagrimento delle riserve in dollari di alcuni paesi, alfieri di quella che abbiamo definito la globalizzazione emergente che sta lentamente facendosi strada nell’Eurasia, quindi Turchia, Russia e Cina.
La situazione è quella che abbiamo visto e che ricordiamo nel grafico sotto.
Quindi, questi tre paesi hanno venduto molti dollari fra il marzo del 2018 e il dicembre del 2019. Possono averlo fatto per diverse ragioni, non ultimo – come potrebbe essere il caso della Turchia – per sostenere il corso del cambio. Ma, di sicuro, nello stesso periodo è accaduto qualcos’altro, che sempre il rapporto della Bce sul ruolo internazionale dell’euro mostra con chiarezza: sono aumentati notevolmente gli acquisti di oro.
Questi massicci acquisti di oro sono stati generati da molti compratori e i nostri tre paesi, grandi venditori di dollari, sono fra quelli che più convintamente hanno investito nel metallo giallo nell’ultimo decennio. In particolare, dal 2015 in poi Russia e Cina e, dal 2017, anche la Turchia.
La Turchia, che ancora nell’aprile scorso ha aumentato la sua quantità di oro, ormai quota 524 tonnellate, che equivalgono al 36% delle sue riserve. La Cina sfiora le 2.000 tonnellate, la Russia le 2.300. Ma, in relazione agli asset complessivi, l’oro cinese pesa poco più del 3%, quello russo oltre il 20. Quindi, è la Turchia ad essersi sbilanciata più delle altre verso il metallo giallo.
Notate come il grosso degli acquisti la Turchia li abbia fatti nel primo trimestre di quest’anno.
E poi notate pure come stiano distribuiti questi valori assoluti e relativi fra tutti i principali paesi.
L’oro è stabilmente il primo asset per i paese avanzati, sul totale delle riserve. La diceria che l’oro sia un barbaric relic è vagamente esagerata.
(2/fine)
giornalista socioeconomico - Twitter @maitre_a_panZer