In Ucraina, la mattina del 26 aprile 1986 si verificava il più grande disastro industriale della storia.
Uno dei quattro reattori della centrale nucleare di Chernobyl esplodeva a causa di gravissimi errori di gestione e spargeva una enorme quantità di elementi radioattivi su tutta l’Europa e oltre, provocando alcune migliaia di morti.
Fu l'incidente più grave con quello di Fukushima del 2011 e, pur nel quadro di una tragedia dagli effetti circoscritti essenzialmente all'Europa, l'umanità tutta si sentì spiazzata di fronte all'imprevisto. Era la prima sonora e dolentissima lezione d'umiltà ricevuta dall’ “homo technologicus”.
Il disastro di Cernobyl ha rappresentato per il femminismo italiano una svolta decisiva, un vero e proprio cambio di rotta, perché fu riconosciuto non più come un incidente isolato (come nel precedente caso di Seveso del 1976), ma come la manifestazione di uno squilibrio da affrontare nelle sue origini profonde.
La critica delle donne al modello di sviluppo mise in discussione la presunta oggettività e neutralità della scienza, rivendicando la presenza dell’elemento individuale, soggettivo, anche nel processo di produzione di conoscenza.
Chernobyl cambiò in parte anche le scelte energetiche: se negli anni '80 il nucleare ne deteneva la maggioranza, a partire dagli anni successivi la situazione cominciò a modificarsi indirizzandosi in molti paesi a favore delle energie rinnovabili. Ma non è bastato.
Di fronte alla guerra stiamo vivendo l'esperienza amarissima di veder rapidamente crollare tante certezze. Anche la speranza che accomuna gli ideali del movimento delle donne con quello dei giovani che oggi chiedono una transizione ecologica, punto di partenza per una rivoluzione del modello di sviluppo, è messa a dura prova.
Per approfondire: “Scienziate nel tempo. Più di cento biografie”, Ledizioni 2023.
Sara Sesti
Matematica, ricercatrice in storia della scienza
Collabora con l'Università delle donne di Milano
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