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Giovedì, 28 Mar 2024

Un bell’intervento di Fabio Panetta ci aiuta a fare altri piccoli utili passi in avanti nella comprensione dello straordinario processo iniziato dalla Bce e dalle altre banche centrali per la creazione delle monete digitali di banca centrale (CBDC, central bank digital currency). Processo dall’esito incerto, almeno a parole, – Panetta ha più volte sottolineato che la decisione sull’emissione dell’euro digitale ancora non è stata presa – ma sul quale pochi dubitano: l’euro digitale si farà, per la semplice ragione che non si può fermare il progresso.

Non a caso l’intervento comincia ricordando come in passato “le innovazioni in campo monetario hanno sfidato e alterato la struttura dei sistemi finanziari”. Accadde con le banconote, che già dal secolo XVII giravano per i paesi con fortune alterne, prima di diventare una nostra abitudine consolidata. E poi anche con i depositi bancari, ovvia consuetudine per noi e i nostri padri, ma innovazione molto discussa e destabilizzante nel secolo XIX, quando divennero uno strumento diffuso.

L’euro digitale, ossia una sorta di banconota virtuale, non è meno complesso da immaginare, quanto agli effetti sulle consuetudini e la stabilità sistemica. Proprio come le banconote e i depositi di una volta, una moneta digitale di banca centrale, che sarebbe una moneta di banca centrale diversa da quelle che siamo abituati a conoscere, porta con sé rischi e opportunità in eguale misura, che devono essere valutate e temperate il più possibile per arrivare a trasformare questa innovazione in un miglioramento della vita per tutti.

Panetta sottolinea che la Bce è al lavoro proprio su questo, e che a quest’esito contribuiranno le varie attività messe in campo – a cominciare dalla survey ormai conclusa per chiedere a tutti i settori economici dell’unione monetaria opinioni e suggerimenti – per svolgere un’analisi quanto più possibile compiuta. Ma proprio la storia ci dice che non è possibile prevedere tutto. L’euro digitale si farà, ma le conseguenze rimangono celate nel futuro.

Quello che sappiamo è che in un contesto crescente di domanda di pagamenti digitali, che vede emergere il ruolo di provider di servizi di pagamento esteri, le banche centrali sono in qualche modo costrette a partecipare al gioco “per mantenere la moneta come un bene pubblico”. Perché questo è il livello della sfida, non altro. E se ricordiamo quanto tempo c’è voluto per affermare il concetto di moneta come bene pubblico, capiamo anche perché sia così importante tutelarlo nel momento in cui giganti tecnologici, già ricchi di dati personali, lavorano per imporre una loro moneta privata.

Detto ciò, rimangono le questioni puramente tecniche, che poi finiscono sempre per divenire politiche, essendo – appunto – la moneta un bene pubblico. “Paradossalmente – dice – un euro digitale può avere troppo successo. Se non venisse progettato bene, la sua maggiore forza, sicurezza e liquidità potrebbe avere effetti sula stabilità finanziaria e monetaria”.

Non serve granché per capire le ragioni di questa affermazione. Un denaro digitale di banca centrale può facilmente spiazzare il denaro di origine bancaria – tipicamente quello dei depositi – proprio come una banconota, specie in tempi di crisi, ha più successo di un investimento finanziario o di un deposito bancario. L’istinto della tesaurizzazione può trovare di che alimentarsi facilmente e a buon mercato con le banconote digitali, che non richiedono neanche particolari accorgimenti per essere custodite – a differenza di quanto accade adesso per le banconote – avendo a disposizione un wallet magari custodito presso la banca centrale.

Ecco uno dei tanti problemi. E a cosa si riferisce Panetta quando parla della necessità di progettare bene questa innovazione. Ad esempio imponendo un limite massimo di euro digitali che ogni persona può conservare. Senza dimenticare che il sistema attuale di gestione della moneta non può fare a meno della collaborazione delle banche commerciali. L’idea che i cittadini abbiano rapporti diretti con la banca centrale non è proponibile, a meno di non rivoluzionare il sistema. Cosa che nessuno, a cominciare proprio dalle banche centrali, vuole.

Serve un’evoluzione, piuttosto che una rivoluzione. “Un euro digitale dovrebbe essere un mezzo di pagamento efficiente, a livello nazionale e internazionale. Ma soprattutto, al fine di preservare la stabilità, dovrebbe essere progettato in modo da impedirne l’utilizzo come una forma di investimento”.

Ma anche qui, al di là delle soluzioni tecniche che si andranno ad elaborare, è ovvio che esiste sempre il rischio che il coniglio fugga dal cappello. Proprio la storia delle innovazioni monetaria ci racconta che gli apprendisti stregoni della moneta hanno dovuto, prima o poi, fare i conti con le forze che hanno scatenato con la loro fervida immaginazione, e che servono decenni, se non secoli, per digerire.

L’euro digitale si farà, nel medio periodo, ma gli effetti di lungo termine sono ignoti. La buona volontà dei banchieri centrali, e il loro impegno, non potrà evitare effetti indesiderati. Il primo dei quali sarà proprio il fatto che l’evoluzione della moneta da loro intrapresa condurrà inevitabilmente in una rivoluzione. Che lo vogliano o no.

Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
Twitter @maitre_a_panZer
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