di Adriana Spera
Se non vivessimo nell’epoca della mistificazione e della propaganda si chiamerebbe semplicemente negazione di diritti riconosciuti dalla Carta Fondamentale.
Tagliando i fondi destinati ad università e ricerca, non si fa altro che negare le pari opportunità agli studenti meritevoli ma privi di mezzi sufficienti.
Le università potranno bandire concorsi solo se non utilizzeranno più del 90% del finanziamento statale per spese fisse. I cda dovranno esser composti al 50% da membri esterni. Proprio quest’ultima “innovazione”, la più sottovalutata dai mezzi di informazione, può essere foriera dello sfascio definitivo.
I privati che siederanno nei cda potrebbero avere mire sul consistente patrimonio immobiliare delle università, interesse a boicottare ricerche condotte negli atenei, a condizionare eventuali finanziamenti, a collocare docenti amici degli amici e così via.
La “ministra” ha accusato gli studenti di favorire i baroni ma questo ddl non elimina alcun privilegio.
I docenti andranno in pensione a 70 anni, appena due anni prima di oggi, i rettori resteranno in carica ben 8 anni, mentre i ricercatori potranno avere solo 2 contratti triennali, dopodiché, se non supereranno i concorsi da associati e non conseguiranno l’abilitazione scientifica nazionale, saranno licenziati.
La produzione scientifica dei docenti sarà monitorata da un’apposita agenzia nazionale.
Tutto ciò accade in un’università in cui la didattica si regge per l’80% sui ricercatori precari, i pochi concorsi sono spesso ad hoc per i figli dei baroni.
Una cosa è certa, i fondi per le borse di studio sono stati tagliati dell’89,54% mentre gli aventi titolo con la crisi sono aumentati. E la chiamano riforma.