di Rocco Tritto
Un finale sul quale ci sarebbe da scompisciarsi dalle risate se non si trattasse della sorte della ricerca pubblica italiana.
Il decreto legislativo n. 213 del 2009 (messo a punto da Mariastella Gelmini), figlio della legge delega n. 165/2007 (voluta dall’allora ministro dell’Università e della Ricerca, Fabio Mussi), sembrava che nelle scorse settimane, con l’approvazione degli statuti da parti dei dodici enti vigilati dal Miur, dopo quattro anni avesse faticosamente raggiunto il traguardo, mancava solo che fossero pubblicati in Gazzetta Ufficiale, così come esplicitamente previsto dai medesimi statuti.
Appena i testi sono giunti al Poligrafico dello Stato, che cura la stampa della Gazzetta per conto del Ministero della Giustizia, è scoppiato il caso.
La Gazzetta, infatti, pubblica leggi, decreti, circolari e quant’altro, ma non statuti di enti pubblici, che tutt’al più, possono essere inseriti in un supplemento alla medesima Gazzetta, senza però che da esso supplemento possa derivare l’efficacia degli stessi statuti.
Una norma che chi ha provveduto alla stesura del decreto di riordino sembra avere bene a mente, visto che il comma 3 dell’articolo 7 stabilisce, in maniera del tutto inequivocabile, che “gli statuti diventano efficaci dopo l’approvazione da parte del Miur.
Ma allora perché lo stesso Miur ha preteso che tutti i dodici enti interessati integrassero gli statuti con uno specifico articolo in base al quale gli stessi avrebbero acquistato efficacia a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello della loro pubblicazione in Gazzetta?
Un vero mistero, che ha fatto impantanare la Gelmini e ha provocato l’ennesimo pasticcio all’italiana.