di Rocco Tritto
Dopo una lunga e tormentata gestazione, con la nomina dei presidenti, sembra essersi concluso l’ennesimo riordino degli undici enti di ricerca vigilati dal Miur. Ancora una volta si è trattato di una procedura formale, finalizzata a sostituire gli organi di vertice, lasciando praticamente immutato tutto il resto. Anzi, riducendo ulteriormente le scarne risorse, per di più spesso e volentieri anche mal utilizzate.
Eppure, ogni volta il ministro “riformatore” parla di svolta epocale, forse per mascherare i veri obiettivi, che sembrano essere quelli di “omogeneizzare” il board alla compagine governativa di turno.
In questa occasione, il fine meccanismo introdotto dal decreto legislativo n. 213 del 2009 ha concesso al ministro vigilante il lusso di nominare alcuni presidenti, indubbiamente di prestigio, ma ascrivibili alla opposta fazione politica, mantenendo ben saldo il consiglio di amministrazione, la cui maggioranza alla fine risulterà di stretta fede governativa. Un meccanismo già sperimentato in Parlamento, dove la presidenza di alcune commissioni (Vigilanza sulla Rai, Controllo sulla sicurezza della Repubblica) è affidata a un rappresentante delle opposizioni, mentre più della metà dei componenti delle stesse è espressione dei partiti che sostengono il Governo in carica.
Il primo banco di prova per i cda così “riformati” sarà la nomina dei nuovi direttori generali che, legge alla mano, sono i veri detentori del potere reale degli enti pubblici e che, fino a ieri, erano quasi sempre diretta espressione dell’organo di vertice dell’ente.
Non sono in pochi a ipotizzare vita difficile per molti dei nuovi presidenti e non si escludono possibili forfait. Chi vivrà, vedrà.