di Adriana Spera
In un convegno tenutosi alla Luiss il 22 febbraio 2011, l'attuale premier Monti ebbe a dichiarare che l'Europa ha bisogno di gravi crisi affinché i propri popoli e chi li governa si convincano a cedere parti della sovranità nazionale agli organismi comunitari.
Se fossimo dinanzi alla costruzione di un grande Stato, che federasse 27 paesi con l'obiettivo di condurre una politica economica, sociale e culturale comune finalizzata alla realizzazione di una democrazia equa e solidale, ne saremmo ben lieti, ma così non è.
In realtà si sta accelerando la costruzione dell' Europa dei mercati finanziari, delineatasi da Maastricht in poi, in cui il cittadino non ha alcun ruolo.
Siamo forse al termine di un processo trentennale partito con la teorizzazione della deregulation dei mercati da parte dei liberisti, applicata da Reagan e dalla Tatcher, che in nome del principio dell'autoregolamentazione dei mercati ridussero al minimo l'intervento regolatore dello Stato in economia.
Il passo successivo fu la globalizzazione, o meglio le delocalizzazioni delle aziende verso i paesi più poveri dove il costo della manodopera era più basso. Ciò ha portato nel volgere di qualche anno alla erosione dei diritti dei lavoratori, al peggioramento delle condizioni di lavoro e delle retribuzioni.
Siamo così giunti ad una crisi da sovrapproduzione, se il potere d'acquisto si riduce le merci restano invendute. Il capitalismo ha quindi deciso di riconvertirsi all'economia immateriale, di investire il danaro nella speculazione finanziaria.
Una scelta che sta mettendo in ginocchio l'economia materiale, quella del lavoro e della produzione di beni, sacrificata sull'altare dell'economia immateriale e costretta a pagare il conto delle scommesse sbagliate.