di Adriana Spera
Nonostante siano stati "fatti i compiti a casa", come ama dire il professor Monti per rassicurare le oligarchie finanziarie che l'hanno voluto a capo del governo, siamo stati rimandati.
A nulla sono valsi gli enormi sacrifici (e il definitivo impoverimento) richiesti alla parte più debole del paese.
Venerdì scorso la società di rating Standard & Poor's ha declassato ben 9 paesi europei, compreso il "primo della classe", la Francia del cotimoniere di Eurolandia, Sarkozy.
Ma se il rating degli altri paesi scende di un solo gradino, quello di Italia e Spagna, i cui destini politici sono stati eterodiretti dal gotha della finanza mondiale, scende di due posizioni, poco sopra il livello spazzatura.
E' la seconda retrocessione in pochi mesi, ma se a settembre scorso era motivata dai "rischi per gli obiettivi di bilancio", dopo manovre per oltre 80 mld, la cancellazione di buona parte del già scarso welfare italico, l'avvio dell'inserimento in Costituzione dell'obbligo del pareggio di bilancio, la riduzione dello spread, quella odierna è del tutto incomprensibile.
Paradossalmente, dalla lettura della relazione di S&P non si evince una bocciatura del governo, anzi, si minacciano ulteriori declassamenti qualora lo si vedesse "fallire nell'approvare le riforme strutturali che crediamo necessarie di fronte all'opposizione di lobby o se dovesse cadere prima di aver esaurito il suo mandato".
Le riforme da farsi e la durata di un governo, che non è scaturito dalle urne, le stabiliranno dunque le agenzie al servizio della finanza e non gli italiani.
Ancora una volta, i provvedimenti ingiunti sono pannicelli caldi. Il destino dell'Italia non dipende certo dalla "lobby" dei tassisti ma da quelle finanziarie che, grazie ai giudizi di S&P, riottengono un'alta remunerazione del capitale investito in Bot e si spartiranno ai saldi i beni comuni degli italiani. Acqua, compresa.