di Adriana Spera
Il pareggio di bilancio in Costituzione - votato in ossequio agli impegni assunti dal governo con la sottoscrizione del "Trattato su stabilità, coordinamento e governance nell'Unione", che include un Patto Fiscale (Fiscal Compact), in base al quale l'Italia si impegna a ridurre il proprio deficit portandolo al 60% del Pil, come chiesto da Bce, Fmi e soprattutto dalle oligarchie finanziarie che governano i mercati - è un altro passo verso il baratro.
I mezzi di informazione hanno dato pochissimo rilievo all'evento, che pure inciderà profondamente sulla qualità della vita degli italiani, specialmente in un momento di recessione quale è l'attuale e che rischia di fare avvitare ancor più su se stessa l'economia.
La nuova formulazione dell'articolo 81 non passerà neppure per le forche caudine di un referendum confermativo giacché è stato votato da oltre i 2/3 dei membri delle Camere.
Eppure, essa cancella un principio di civiltà, sortito con non poche difficoltà dall'Assemblea Costituente, dove prevaleva un orientamento teso ad affidare al solo governo la competenza in materia di spesa. Con la cancellazione dell'obbligo del pareggio si intendeva rendere esigibili i diritti sanciti dalla Carta.
La formulazione attuale è un altro passo per far pagare la crisi alla parte più debole del paese, in primis, donne, giovani e anziani, che subiranno ulteriori tagli a servizi sociali, istruzione e sanità.
Di fatto, siamo in uno stato di democrazia sospesa in cui come cittadini non possiamo respingere al mittente la decisione e, per di più, con un Parlamento di nominati eterodiretti dai poteri finanziari. E dire che contro il dogma del pareggio sono scesi in campo 5 premi Nobel preoccupati per gli effetti recessivi che esso produce. Finora solo Obama li ha ascoltati.