di Adriana Spera
Ancora una volta, come spesso è accaduto nei decenni scorsi, ci si è nascosti dietro un'oscura formula inglese, spending review, per tagliare un altro pezzo di stato sociale senza, peraltro, porre un argine alla vera malattia che affligge l'economia italiana: l'elefantiasi del debito.
Con i provvedimenti dei giorni scorsi, invece, si sono poste le basi per un ulteriore avvitamento della crisi e di conseguenza per una ulteriore crescita del debito e per altri tagli al welfare, come è già accaduto con i decreti dei mesi scorsi.
Spending review nel mondo sta a significare analisi della spesa, al fine di valutare l'efficacia e l'attualità dei programmi e degli interventi, la loro rispondenza ai bisogni dei cittadini (performance review) e la eventuale riallocazione delle risorse in voci di spesa diverse.
Insomma, l'obiettivo dovrebbe essere: migliorare la gestione ed il controllo della spesa attraverso la razionalizzazione dei processi, la verifica costante dei livelli di efficacia, efficienza e qualità dei programmi di spesa.
Azioni che richiedono un elevato livello di controllo, che in Italia non c'è, tanto per volontà della classe politica, quanto dei tecnocrati. Azioni che richiederebbero partecipazione e trasparenza.
Ma si preferisce spacciare i tagli lineari, che uccidono pure le eccellenze, per spending review. Si preferisce licenziare i dipendenti pubblici, tagliare le risorse destinate a istruzione, ricerca, sanità e cultura, piuttosto che rivedere quel complesso di esternalizzazioni improduttive, dispendiosi appalti in outsourcing, che hanno umiliato e demotivato i pubblici dipendenti ma che rispondono a logiche spartitorie come la moltiplicazione degli enti con finalità analoghe, come gli appalti che partono da prezzi che nessun buon padre di famiglia accetterebbe.
L'obiettivo è sempre far finta di cambiare perché tutto resti come prima.