di Antonio Del Gatto
Un "vaffa" rivolto al capufficio non basta per giustificare il licenziamento. A stabilirlo è stata la Cassazione.
Secondo gli Ermellini, infatti, se l'offesa al superiore resta circoscritta nell'ambito di un solo episodio, non va a compromettere il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.
Per questo, la Suprema Corte (sentenza 10426/2012) ha respinto il ricorso di un'azienda che si era opposta alla reintegra di un dipendente che aveva mandato a quel paese un superiore gerarchico. Il caso era finito nelle aule di giustizia principalmente per il fatto che l'offesa era stata rivolta ad un superiore donna.
Dopo il "vaffa" il lavoratore era stato licenziato, ma il provvedimento trovava disco rosso sia in tribunale che in appello, sul presupposto che l'offesa era stata episodica.
Respingendo il ricorso dell'azienda, la Cassazione ha confermato il doppio verdetto, evidenziando che la motivazione dei giudici di merito "appare congrua e logicamente coerente e supportata da precisi e univoci riferimenti alle risultanze processuali, che hanno consentito di ridimensionare la gravità dei fatti e di circoscrivere l'episodio che, sia pure censurabile, non dimostra la volontà del dipendente "di sottrarsi alla disciplina aziendale e di insubordinarsi, essendo rimasto nei limiti di una intemperanza verbale".
Insomma, un comportamento decisamente censurabile, ma insufficiente per giustificare un licenziamento in tronco.