di Rocco Tritto
Fino a pochi mesi fa, nemmeno lontanamente sarebbe stato concepibile un ministro di un nostro governo che avesse l'ardire di sostenere che "il lavoro non è un diritto". Non solo questo è avvenuto, ma la mozione di sfiducia presentata nei suoi confronti è stata respinta a larghissima maggioranza, forse per la commozione suscitata dalle lacrime versate dal ministro stesso.
L'attacco ai lavoratori è poi proseguito senza sosta, in difesa delle generazioni future, grazie al sostegno del "partito unico organico apparentemente diviso in più formazioni politiche rivali" che, dopo averci rimbambito col mantra del bipolarismo quale sommo bene, oggi ci indica nella "coesione" la via d'uscita ai nostri problemi. Ci dicono che è l'Europa che lo vuole.
Nel suo libro, uscito la settimana scorsa per i tipi di Laterza e del quale ho ripreso il titolo di questo editoriale, Luciano Canfora ci invita a non crederci. Né a questo, né a tutto il resto.
Egli spiega che la “costruzione europea” ha prodotto il commissariamento dei paesi dipendenti, attuato "attraverso lo svuotamento sostanziale del ruolo dei parlamenti", con la conseguente "espulsione di qualunque tipo di controllo partitico dal campo trincerato della gestione dell'economia, cioè dalla quasi totalità delle decisioni vitali per l'intera comunità".
La sovranità è "delocalizzata fuori dei confini statali", nel potere bancario, "che preferisce collocare d'autorità, al vertice degli stati subalterni, direttamente suoi funzionari, saltando il fastidioso problema della conquista del consenso e del cimento elettorale".
Tutti ricordano, infatti, che è bastata una lettera della Bce nell'agosto 2011 a farci cambiare sì uno sgangherato quanto inefficiente governo, ma senza bisogno di andare a nuove elezioni.
Alle quali si sarebbe dovuto ricorrere, per evitare, forse, la lunga quanto infausta parentesi Monti & co.