di Rocco Tritto
Raccontare ciò che si riesce a vedere oltre l'occhio del lettore, a volte può presentare dei rischi, finanche la galera.
Tra quanti sono da sempre sostenitori del bavaglio ai mezzi di informazione, e che spesso fanno un uso intimidatorio della querela per diffamazione, ci sono soprattutto personaggi dediti con continuità al malaffare e alla mala gestio, che vorrebbero che giammai i loro loschi traffici divenissero di pubblico dominio.
In trincea, esposti a mille "intemperie" ci sono i giornalisti d'inchiesta, sempre più rari nel nostro paese, che con il loro lavoro vanno a scoperchiare "pentole" maleodoranti, anche dentro la pubblica amministrazione.
Chi invece si limita a trasferire sul proprio giornale o sul proprio blog le classiche notizie d'agenzia, non corre alcun rischio e può dormire sonni tranquilli. Nulla gliene importa che una norma fascista preveda addirittura il carcere per chi incappa accidentalmente, o pur anche dolosamente, in una notizia infondata, che può dare luogo a una diffamazione.
In tal caso, che occorrerebbe comunque sempre evitare cercando fonti affidabili e documentazione incontestabile, non si tratta di farla franca, ma di essere obbligati alla smentita e a versare un equo ristoro alla parte diffamata. Insomma, la diffamazione, che è anacronisticamente un reato, andrebbe depenalizzata.
Se ciò, pur sotto l'effetto del caso Sallusti, avverrà, il Parlamento avrà dato un importante, anche se tardivo, segnale di civiltà, visto che a chiedercelo è l'Europa. Questa volta, per davvero, dato che la Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo da anni ha messo al bando la barbarie del carcere per i giornalisti.
Ma il governo italiano mentre invoca l’Europa quando si tratta di cancellare i diritti dei cittadini, ipocritamente la ignora quando si tratta di concederli.