di Rocco Tritto
Dal 1950 ad oggi sono state fatte più scoperte che in tutte le epoche precedenti. Ciò non è avvenuto a caso, poiché le ricerca e l'innovazione sono diventate un po' dovunque fini assunti dallo Stato come propri nell'interesse della collettività.
Del resto, è frequente anche nei discorsi politici, in primis del Presidente della Repubblica, il richiamo a profondere ogni sforzo nello sviluppo della ricerca. Ma c'è ricerca e ricerca: quella diretta al solo arricchimento della conoscenza; quella privata, ossia svolta in laboratori privati e con obiettivi di profitto a vantaggio di chi la finanzia e, infine quella strumentale all'attuazione di scopi di interesse pubblico, sostenuta dallo Stato.
Quest'ultima è garantita dal principio costituzionale contenuto nell'articolo 9 della Carta Fondamentale, che impone alla Repubblica di promuovere la ricerca scientifica e tecnica. Poiché questa "promozione" viene effettuata attraverso i fondi pubblici, costituiti quindi dalle tasse ed imposte pagate dai cittadini, ne consegue che essa non debba essere in alcun modo influenzata da interessi di privati, né che il potere politico possa manipolarne i risultati ove li ritenga in manifesto contrasto con i propri scopi.
Va da sé che sotto l'egida della ricerca non possano essere coperte azioni od omissioni in conflitto con l'interesse pubblico o la salute della collettività, non a caso anche quest'ultima tutelata dall'articolo 32 della Costituzione, come "fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività".
In questo contesto lascia quantomeno perplessi la scelta del Cnr di non rendere noti i risultati delle analisi da esso effettuate per conto dell'Ilva di Taranto.
Gli organi di vigilanza dovrebbero al più presto chiarire se la condotta del Cnr sia conforme ai principi della Costituzione italiana.