di Rocco Tritto
I senatori della Repubblica chiamati a cancellare la norma fascista, che prevede il carcere (da uno a sei anni) per il reato di diffamazione a mezzo stampa, martedì scorso hanno approvato un emendamento proposto dalla Lega Nord, sul quale l’Api di Rutelli ha chiesto e ottenuto la votazione segreta, con la quale grazie a una maggioranza trasversale, coperta dall’anonimato, il carcere per i giornalisti non è stato cancellato.
L’eco di quello che la stampa unanime ha definito"un colpo di mano" ha raggiunto anche i palazzi dell’Unione Europea, che da tempo sollecita i Paesi membri a cancellare ogni e qualsiasi norma detentiva per gli operatori dell’informazione.
Immediata la risposta del commissario per i Diritti umani, Nils Muiznieks, per il quale mantenere tale norma sarebbe un "grave passo indietro" per l'Italia e non solo.
Il commissario ha ricordato che "all'inizio del dibattito la speranza era che la nuova legge depenalizzasse la diffamazione, portando così l'Italia in linea con gli standard del Consiglio d'Europa".
Secondo questi parametri, ha spiegato Muiznieks, i giornalisti "non devono andare in carcere per le notizie date e la diffamazione dovrebbe essere sanzionata solo attraverso misure proporzionate previste nel codice civile".
E’ esattamente quanto ha sostenuto Il Foglietto nell’editoriale della scorsa settimana.
Ma, ancora una volta, è prevalso il rancore che sembra animare molti politici italiani, che considerano i giornalisti – e non i loro comportamenti – la causa della crescente sfiducia dei cittadini nei loro confronti.
Grazie a codesti paladini della democrazia, l'Italia continua a occupare il 70 posto, assieme alla Guinea e a Hong Kong, nella classifica mondiale sullo stato della libertà di stampa stilata da Global Press Freedom Rankings 2012.