di Rocco Tritto
L’appuntamento è per oggi alle ore 16:30, quando i 315 senatori della Repubblica Italiana verranno chiamati ad approvare o respingere il disegno di legge di modifica delle norme attuali in materia di diffamazione, meglio noto come salva-Sallusti, che in Commissione giustizia è stato licenziato da tutti i gruppi, Pd e Pdl in testa, ad esclusione della Lega Nord e dell’Api di Rutelli, che chiedevano addirittura norme ancor più penalizzanti per i giornalisti.
Quella che doveva essere una semplice formalità per il Parlamento, che da anni avrebbe dovuto adeguare la legislazione italiana a quella europea, cancellando quella norma aberrante che prevede sin dall’era fascista il carcere per i giornalisti, è stata, invece, l’occasione per far emergere una sete di “vendetta” da parte di molti eletti, che vedono nei giornalisti, e non nei loro stessi comportamenti, i maggiori nemici.
E’ sufficiente leggere i resoconti degli interventi succedutisi in queste ultime settimane in Commissione giustizia del Senato, per rendersi conto che l'ostilità che covava in tanti, senza distinzione di colore politico, ha partorito un testo che, di fatto, provocherà la chiusura di migliaia di piccoli giornali telematici, come il nostro Foglietto della Ricerca, che non potranno continuare a informare i lettori sotto la spada di Damocle di maxi sanzioni pecuniarie: da 3mila a 30mila euro, per i notiziari on line e da 5mila a 50mila, per i giornali stampati.
Chi sostiene che anche il diffamato vada tutelato, ha perfettamente ragione, ma omette di dire che l’azione risarcitoria in sede civile già esiste e non è stata mai messa in discussione.
Ma sommare due condanne pecuniarie, la prima in sede penale e la seconda in civile, è davvero troppo. Un lusso che solo le grandi testate potranno permettersi, d’ora in poi.
Ciò che lascia basiti è anche il fatto che nessuna sanzione è stata prevista per chi ha la querela facile, per chi vi ricorre a scopo intimidatorio verso il giornalista, che comunque dovrà cercarsi un avvocato, e sostenere il relativo costo, per poter dimostrare l’assoluta correttezza del suo lavoro.
Peccato che prima che la Corte di giustizia europea censuri nuovamente l’operato del Parlamento italiano passeranno anni, durante i quali molte voci libere e indipendenti, come la nostra, non ci saranno più.
In compenso, un consistente manipolo di parlamentari avrà appagato la sete di “vendetta” per sé e per conto di tanti boiardi, che non sopportano che il loro operato, quando caratterizzato da mala gestio, diventi di dominio pubblico, grazie al coraggio e all’indipendenza di grandi o piccoli organi di informazione.
Una pagina nerissima per uno Stato democratico quale l’Italia dovrebbe essere.