di Roberto Tomei
La valutazione della performance dei pubblici dipendenti è ormai oggetto di discussioni accese tra amministrazioni e sindacati, diffide, intimazioni e minacce di ricorsi in tribunale.
Un po’ dappertutto il personale è in agitazione, anche perché i termini della questione sono tutt’altro che chiari. Tra le certezze v’è che a suo tempo il ministro Brunetta varò un decreto legislativo (il n. 150/2009) che prevedeva premi ai “buoni” e minacciava castighi ai “cattivi”. Una sorta di revival deamicisiano.
L’inopinato blocco dei contratti, che da quattro anni penalizza i lavoratori della P.A., ha in concreto vanificato, per ora, il disegno brunettiano.
Ciononostante, e pur in assenza del necessario ccnl di recepimento della disciplina introdotta dalla riforma del 2009, alcune solerti e pervicaci amministrazioni, con alto senso di un dovere non richiesto, si stanno cimentando nella escogitazione dei più disparati bilancini per misurare il peso e la qualità delle prestazioni dei singoli dipendenti e delle strutture di appartenenza. Si tratta di una attività degna di miglior causa, dato che le finalità appaiono sterili e velleitarie, con ricadute sui costi delle amministrazioni, il tutto, per di più, in tempi di spending review.
Se l’obiettivo dichiarato da Brunetta era quello di stanare e punire i cosiddetti “fannulloni”, bastava imporre ai dirigenti di segnalare, ovviamente congruamente motivando e documentando, eventuali comportamenti lassisti e rinunciatari di dipendenti che, se accertati, avrebbero avuto conseguenze negative sul salario accessorio.
Uno strumento elementare, di facile e rapida applicazione, nel rigoroso rispetto della Costituzione e dei doveri di dirigenti e impiegati.
In tal modo, il risultato sarebbe stato garantito, senza costi aggiuntivi per l’erario. Ma si sa, siamo in un Paese dove le cose semplici si rendono sempre complicate.
Rebus sic stantibus, non ci stupiremmo se il prossimo ministro della Funzione pubblica, in tema di valutazione delle prestazioni lavorative, decidesse di ispirarsi al sistema inaugurato di recente nella Repubblica Popolare Cinese, dove un’azienda , dovendo sanzionare una ventina di impiegati “pigri” (alias, fannulloni) che non avevano raggiunto gli obiettivi nell’anno 2012, ha deciso di rieducarli facendoli correre (dieci chilometri, per gli uomini e cinque, per le donne) in tenuta da spiaggia, affinché potessero sentire il freddo e rigenerarsi, dietro una Limousine nera, che trasportava il manager incaricato di dettare il passo.
Freddo a parte, pare che tanta sia stata la vergogna provata di fronte allo sguardo attonito dei passanti.
In tempi di globalizzazione, chi se la sente di escludere che anche da noi non possa accadere altrettanto?