di Adriana Spera
Il “prete da marciapiede”, come si autodefiniva, a 84 anni, dopo tante battaglie a fianco degli ultimi, se ne è andato. La prima fu a diciassette anni, quando prese parte alla Resistenza, col nome di partigiano Nan, nella brigata capeggiata dal fratello maggiore.
Da sacerdote continuò a lottare per i diritti dei più deboli, a partire dai minori chiusi nel duro riformatorio della nave scuola della Garaventa, per i quali provò a chiedere metodi educativi basati sulla fiducia e la libertà, gli stessi metodi pedagogici che poi avrebbe adottato sia con i carcerati a Capraia che con i tossicodipendenti ricoverati nella Comunità di San Benedetto al Porto.
Dovunque andasse sapeva creare intorno a sé un clima di amicizia e di solidarietà, aggregando persone di ogni età e ceto. Così fu nella sua prima parrocchia, la chiesa del Carmine, dalla quale il cardinale Siri lo mandò via perché durante una sua omelia domenicale difese, lui sempre antiproibizionista, i ragazzi che nel quartiere avevano aperto una fumeria di hashish, dicendo che vi sono ben altre droghe pericolose, per esempio il linguaggio, a causa del quale un ragazzo può diventare «inadatto agli studi» se figlio di povera gente, oppure un bombardamento di popolazioni inermi può diventare «azione a difesa della libertà».
La destituzione di Don Gallo provocò una vera e propria sollevazione popolare a Genova. Fortunatamente, don Federico Rebora, parroco della chiesa di San Benedetto al Porto accolse don Andrea e insieme fondarono una comunità di base nella quale, dal 1970 a oggi, hanno trovato casa e rispetto innumerevoli emarginati, tossicodipendenti, prostitute e chiunque avesse bisogno di sostegno. Ma l'impegno del prete “angelicamente anarchico” non si è fermato nella sua città, ovunque ci fosse una rivendicazione sociale, una battaglia a difesa dell'ambiente egli era sempre pronto a dare una mano, subito si presentava dicendo: «Sono qui per servirvi».
Negli ultimi anni è stato accanto al ai giovani No Global al G8 di Genova, si è battuto affinché si facesse luce sulla morte di Carlo Giuliani. Ha sostenuto il Movimento No Dal Molin di Vicenza, i Movimenti contrari alla centrale Enel sul Monte Amiata, i No Tav, e diceva sempre: «Io sto con i Partigiani della Valsusa!».
Dalla parte degli omosessuali e delle coppie di fatto perché, diceva, «ciò che conta è l'amore», ha partecipato al Gay Pride di Genova nel 2009, ha presentato il primo calendario Trans in Italia, facendosi fotografare con le trans storiche del Ghetto di Genova. Un impegno che gli è valso nel 2011 il premio come Personaggio Gay dell'Anno.
Negli ultimi tempi era scoraggiato e ripeteva «Mai finora ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Siamo di fronte, nel nostro bel Paese, a una caduta senza precedenti della democrazia e dell’etica pubblica. La mia coscienza di uomo e di prete che intende coniugare fede e impegno civile è in difficoltà a prendere la parola. Dov’è la fede? Nelle crociate moralistiche? Dov’è la politica? Nei palazzi? Dove sono i partiti? Sempre più lontani. È una vera eutanasia della democrazia, siamo tutti corresponsabili, anche le istituzioni religiose». Il suo ultimo tweet è stato: «Sogno una chiesa non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna», perché lui era profondamente cristiano (o, come diceva talvolta, marxianamente cristiano), tanto da farsi apprezzare anche da chi è ateo o da chi professa un'altra religione.
Don Andrea era solito dire degli uomini “Ci sono quelli che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, poi ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli imprescindibili”. Egli era davvero un imprescindibile, impossibile da dimenticare.