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Venerdì, 10 Mag 2024

di Adriana Spera

Da alcuni anni il nostro Stato ha scatenato una vera e propria guerra ai falsi invalidi, dei cui risultati veniamo tempestivamente informati dai media, che con titoli altisonanti fanno a gara per solleticare l’interesse del lettore.

Degna, nondimeno, di essere conosciuta è la via crucis che devono percorrere coloro che, invalidi essendolo per davvero, cercano giustamente di farsi riconoscere questa loro tragica condizione. Sì, perché qui da noi, come se già non bastasse affrontare il disagio derivante da una vita da menomato, al disabile occorre anche attrezzarsi contro i ritardi, le lentezze e le vessazioni della burocrazia.

Di questa situazione dà puntualmente conto ora il primo “Rapporto nazionale sull’invalidità civile e la burocrazia”, che raccoglie le segnalazioni di disagio trasmesse agli operatori di Cittadinanzattiva e Tribunale per i diritti del malato. Non un’arida statistica, insomma, ma la manifestazione della viva voce dei malati, che il polso della situazione ce l’hanno.

Si scopre così che le nuove procedure telematiche, in vigore dal gennaio 2010, anziché snellire l’iter per il riconoscimento dell’invalidità, hanno finito per aggravarlo, dato che parecchi cittadini hanno dovuto chiedere l’assistenza dei patronati per farsi aiutare. Molti addirittura non sapevano che la domanda non va più presentata all’Asl ma, appunto per via telematica, all’Inps, previa certificazione medica.

Ma compilare la domanda è solo l’inizio del calvario. Ci vogliono, infatti, in media otto mesi (erano sei nel 2011) per ricevere la convocazione della prima visita, molto di più quindi dei tre mesi previsti dalle circolari. Altri undici mesi sono necessari per la ricezione del verbale e soltanto un anno dopo c’è l’erogazione dei benefici.

Per i malcapitati, a dir poco una tragedia, dato che solo col verbale un malato cronico, già non esentato, può non pagare i ticket e godere dei permessi lavorativi per curarsi.

La legge prevede la possibilità di accedere online allo stato della pratica, ma si tratta in concreto di un’impresa che spesso si rivela impossibile persino per i patronati nati per sostenere i malati, essendo il procedimento poco trasparente e le informazioni tutt’altro che univoche.

L’esercizio del diritto di accesso ex lege 241/90 può soccorrere, ma se si vogliono veramente ridurre i tempi di attesa e ottenere i benefici in breve tempo, l’unico rimedio che si è rivelato efficace è stato sinora quello della presentazione di una diffida a provvedere nei tempi fissati dal legislatore. Diffida che va inoltrata all’assessorato regionale alla Sanità, all’Asl (direttore generale) e all’Inps (ufficio medico legale competente per territorio).

Se questa è la situazione per l’invalido “vero”, chissà cosa deve escogitare chi, non essendo tale, variamente si adopera per farsi riconoscere diritti e benefici che non gli spettano. Sta di fatto che il “falso” invalido non solo riesce magari a ottenere ciò a cui non ha diritto, ma ritarda anche l’iter procedurale per il riconoscimento degli invalidi veri, dato che molti medici dell’Inps sono stati schierati sul fronte delle verifiche straordinarie, dove si combatte appunto la battaglia contro i falsi invalidi. Che, come gli esami di Eduardo, sembrano non finire mai.

Comunque, una volta superato il calvario e ottenuta la pensione, non è detto che il vero invalido mantenga l'assegno a vita, nemmeno in caso di invalidità permanente irreversibile.

Ne sa qualcosa Soriano Ceccanti, che nel 1968, appena sedicenne, durante una manifestazione dinanzi alla Bussola di Focette, a Marina di Pietrasanta, venne colpito da un proiettile vagante, restando paralizzato.

Ebbene a Ceccanti, nelle scorse settimane, è stato revocato il misero assegno di 240 euro mensili che gli era stato assegnato dall'Inps. Motivo? L'ente previdenziale gli aveva richiesto la documentazione attestante il persistere della sua disabilità (sic!).

Richiesta rimasta inevasa perché in quel momento Ceccanti era in Marocco.

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