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Domenica, 28 Apr 2024

di Adriana Spera

Venti tra le più importanti Società scientifiche Italiane per le ricerche nelle Scienze della Vita e numerosi Collegi di docenti e ricercatori universitari hanno lanciato un accorato appello al ministro dell'Università e della Ricerca Scientifica Maria Chiara Carrozza affinché riveda l'attuale sistema di finanziamento pubblico della ricerca in Italia e soprattutto affinché ad essa vengano destinate adeguate risorse.

In dieci anni gli importi stanziati annualmente per finanziare i progetti di ricerca si sono ridotti dell'80 per cento. Nel 2012 sono stati destinati ai Programmi di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale (Prin) 38 milioni e 30 al progetto Giovani in Ricerca (GR).

Per rilanciare il loro appello le medesime società scientifiche, venerdì scorso hanno indetto una conferenza stampa presso l'Università La Sapienza. Purtroppo di organi di informazione, a parte Il Foglietto, non se ne sono visti. «Segno dei tempi, o meglio della cultura dominante – hanno commentato i numerosi docenti presenti– che preferisce dare informazione dei risultati di qualche ricerca tanto bislacca quanto inutile, piuttosto che parlare dello stato della ricerca in Italia e degli studi utili che non vengono finanziati con grave detrimento, tanto per la scienza che per l'economia».

Chi pensa agli scienziati come a una categoria avulsa dalla realtà, persa dietro le proprie congetture, sbaglia, come dimostra, appunto, la denuncia che essi fanno al ministro che sostanzialmente  è riassumibile nel concetto: l'Italia non investendo in ricerca scientifica disperde enormi potenzialità per la propria ripresa e lo sviluppo. Una situazione che penalizza fortemente i ricercatori italiani rispetto ai loro colleghi stranieri.

Ma fra tutti i ricercatori vi sono figli e figliastri; in altri termini, ve ne sono di più penalizzati di altri. Tant'è che - come già evidenziato dalla Corte dei conti per i Progetti Bandiera - mentre ai fisici va il 75% delle risorse stanziate per i Prin, ai biologi non va quasi nulla. «I fondi Prin vanno sempre meno alla biologia e alla medicina – dice il professor Cesare Balduini presidente della Società Italiana di Biologia – mentre prima ad esse andava il 40-50% delle risorse».

Una situazione diametralmente opposta a quella degli altri paesi ed in particolare degli Stati Uniti, dove invece, la ricerca biologica viene privilegiata perché si pensa che abbia un immediato ritorno, sia in termini di salute per i cittadini, che occupazionali ed economici. Il presidente Obama ha stanziato 10mld per la sola ricerca biomedica. Insomma, «se continua così – dice il professor Felice Cervone, Presidente della Federazione Italiana Scienze della Vita (Fisv) – tra 20 anni la biologia in Italia non esisterà più».  Eppure, pur essendo l'Italia al 30° posto nell'Ocse per finanziamenti destinati alla ricerca, essa è all'8° posto per produzione di articoli e citazioni. A voler utilizzare un linguaggio assai in auge, si può dire che la ricerca italiana ha un'alta produttività.

Il finanziamento per progetto è stato in media di circa 270.000 euro su tre anni, in genere per 3 unità di ricercatori a 30.000 euro l’anno l'uno. Fondi irrisori, al netto di eventuali borse di dottorato  o assegni di ricerca, per l’acquisto di materiale di consumo o strumentazione. Nel resto del mondo vengono erogati mediamente finanziamenti 10-20 volte superiori per ogni progetto.

Gli autori della lettera ricordano al ministro che “I finanziamenti per la Ricerca e lo Sviluppo in Italia, Francia, Inghilterra e Germania nel 2012 sono stati rispettivamente di 11.500, 19.500, 13.000 e 31.000 milioni di dollari. Questa situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che le opportunità dei finanziamenti europei per la ricerca di base si sono drasticamente ridotti come emerge chiaramente dalle bozze che circolano sugli imminenti bandi di Horizon 2020. Come Lei sa, un Paese che non investe in ricerca oggi, è un Paese destinato a decadere rapidamente nel mercato globale, e che vedrà quindi diminuire il benessere sociale perché solo prodotti ad alto valore tecnologico e ad alto valore di conoscenze possono essere esportati e non subire la competizione dei paesi emergenti dove il lavoro costa molto meno rispetto a quelli sviluppati - e aggiungono - I PRIN erano nati per finanziare la ricerca di base, per stimolare la ricerca “curiosity-driven”, che è quella che ha sempre portato i maggiori risultati, anche con ricadute applicative. Non è un caso che nel 2008, all’inizio dell’attuale crisi, sia la Germania che gli USA abbiano investito nella ricerca scientifica come volano dell’economia e per sostenere l’occupazione di giovani qualificati. In Italia si è operato nella direzione opposta e si continua ad operare nella stessa sciagurata e miope direzione".

Purtroppo, denunciano i firmatari della lettera, l'esiguità delle risorse ha prodotto una degenerazione del sistema di assegnazione dei finanziamenti ai Prin che poco ha a che vedere con il merito scientifico dei singoli o dei gruppi di ricerca. Per questo si chiede al ministro di invertire di 180° l'attuale rotta aumentando l'entità dei fondi destinati alla ricerca e "modificando drasticamente l'attuale sistema di finanziamento pubblico lesivo degli interessi nazionali nella competizione globale e offensivo per i ricercatori e le loro legittime aspirazioni a svolgere l'attività scientifica con mezzi confrontabili con quelli messi a disposizione dei colleghi stranieri".

Alla penuria di finanziamenti poi si aggiunge l'attacco che viene mosso all'università e alla ricerca pubbliche da parte di autorevoli docenti, nonché opinion leaders, delle università private volti a dirottare risorse.

I firmatari della missiva contestano poi il sistema di valutazione adottato per i progetti, che ha fatto sì che solo 141 (pari al 4-5% ) dei progetti presentati venissero finanziati, 36 nella linea delle Scienze della Vita (Scienze Biologiche, Mediche, Agrarie, Veterinarie e Chimico-Farmaceutiche). “Il sistema di valutazione dei progetti in due fasi, con valutazione locale prima e nazionale dopo, e l’utilizzo di referees italiani e stranieri che non confrontano le loro valutazioni ed i loro metri di giudizio, è probabilmente un sistema “unico” al mondo. I suoi limiti e storture sono evidenti: progetti validi eliminati a livello locale per dare spazio ad equilibri interni tra aree disciplinari” . I referees, scelti a discrezione dei garanti nazionali, spesso dimostrano di avere scarse competenze e capacità di valutazione assai diverse. Tant'è che "A differenza dei sistemi di valutazione stranieri e anche di agenzie italiane, come AIRC e Telethon, i giudizi espressi non permettono solitamente in alcun modo di migliorare la qualità del progetto rendendolo finanziabile negli anni successivi”. Infine, dicono, è sorprendente che non vengano valutati in alcun modo  i risultati ottenuti. Quindi, concludono i firmatari della nota, “il sistema attuale non premia i progetti migliori, ma solo quelli che casualmente si trovano valutati da referees italiani e/o “amici”.

La proposta è perciò quella di pervenire ad un sistema di valutazione basato unicamente su referees stranieri che possano condividere e discutere le proprie valutazioni in un'unica fase con il “Consensus Report” firmato da tutti i valutatori, come accade già per i Progetti SmartCity.

Insomma, bisogna abbandonare subito un sistema di valutazione inefficiente, dispendioso e manipolato.

Il ministro, a detta dei collaboratori che hanno incontrato una delegazione della Fisv, sembrerebbe intenzionato a rivedere il meccanismo di valutazione. Come non si sa. Per chi ha scritto l'appello, servono innanzitutto dei valutatori competenti, che facciano essi stessi ricerca. Stranieri e completamente slegati dal mondo accademico italiano.

Infine, l'ultima doglianza dei docenti è quella sulla asimmetria di fondi posti nel PRIN rispetto al GR sulla distribuzione dei fondi strutturali Ue e i fondi erogati dallo Stato per la ricerca agli enti locali, entrambi gestiti da amministratori locali spesso in modo poco trasparente ed efficiente.

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