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Giovedì, 02 Mag 2024

di Adriana Spera

E' di questi giorni l'ultima trovata di Renzi: incontrare Berlusconi per decidere insieme come riformare il sistema elettorale e come superare il bicameralismo perfetto (che per molti sembra un'anomalia tutta italiana ma che così non è), uno dei meccanismi di tutela della nostra democrazia.

Quante volte si sono votati alla chetichella provvedimenti che vanno contro la volontà espressa dal corpo elettorale in una delle Camere e poi, grazie al bicameralismo perfetto, si è potuti intervenire per far modificare quei provvedimenti all'altro ramo del parlamento (pensate solo a tutti i tentativi di riprivatizzare l'acqua dopo i referendum del 2011)?

Con l'occasione, Berlusconi ha chiesto di includere nel pacchetto anche le privatizzazioni o, meglio, la svendita di patrimonio e aziende pubbliche, un suo vecchio pallino. Renzi si è detto in “profonda sintonia” con il Cavaliere.

E dire che non sono certo queste le priorità degli italiani, ormai stremati da una crisi economica che non sembra finire mai, né di quanti si erano messi in fila ai gazebo in 2.814.801, in Italia e all'estero, per partecipare alle primarie per la elezione del segretario del Pd. Soprattutto non erano queste le priorità di quel milione895.332 (67, 55% ) di cittadini che hanno votato per Matteo Renzi nella speranza di un abbandono delle larghe intese, a discapito degli italiani.

Renzi, visto come il “nuovo che avanza”, il “giovane”, il “rottamatore” dei vecchi notabili, in realtà, ha sulle spalle circa venti anni di attività politica.

Fin da ragazzo è nell'Agesci, poi, nel '96 è animatore dei Comitati Prodi nel Valdarno e si iscrive al Partito Popolare Italiano. Nel ’99 ne diventa segretario provinciale, con l'appoggio dei demitiani. Assistente parlamentare di Lapo Pistelli (attuale vice ministro degli affari esteri nel governo Letta). Nel 2001 è coordinatore della Margherita a Firenze e dal 2003 segretario provinciale. Nel 2004 diventa presidente della Provincia di Firenze. Infine, nel 2009 vince le primarie per sindaco, nonostante la contrarietà del gotha del Pd e le vince, battendo il suo “padre politico” Pistelli.

Il resto è storia nota. Grazie agli slogan inneggianti alla “rottamazione senza incentivi” per i dirigenti di lungo corso del Pd, nel 2010 lancia la Carta di Firenze alla Leopolda. Nasce così la corrente sempre più numerosa dei giovani rottamatori, affollata, oltre che da politici, da intellettuali, imprenditori e finanzieri, che annualmente si riunisce nella convention detta Big Bang.

Nel 2012, con un programma in 100 punti, corre per le primarie a premier ma perde contro Pierluigi Bersani.

Il resto è attualità. La  rivincita ottenuta con la conquista, l'8 dicembre scorso, del ruolo di segretario del Pd con la benedizione di buona parte della nomenklatura del partito, anche di quella che un anno fa stava con Bersani o con altri. Un'investitura, anche popolare, ottenuta da quel milione895.332 di persone, che si sono messe in fila per votarlo, o meglio, acclamarlo.

Ma quanti di questi ultimi e quanti italiani conoscono il programma di Renzi per l'Italia? Quali le proposte economiche per uscire dalla crisi che attanaglia il Paese?

Ebbene, nei mesi scorsi è uscito quello che si potrebbe definire il Manifesto della renzinomics: Più uguali più ricchi. Stilato da Itzhak Yoram Gutgeld,  che viene ritenuto, dai più, il consigliere economico del sindaco.

Israeliano di nascita, filosofo e matematico di formazione, Gutgeld ha lavorato per ventiquattro anni in Italia alla McKinsey, società di consulenza per le aziende, dove ha ricoperto il ruolo di director e senior partner. Dal 2013, è deputato del Pd.

Nella quarta di copertina del suo libro viene definito “manager ed esperto nella soluzione dei problemi e nella gestione dei cambiamenti” e, circa la sua attività, viene sottolineato che: “ha servito grandi imprese e governi in Italia e all'estero”.

Ma veniamo alle proposte-ricette per uscire dalla crisi espresse nel libro succitato o, meglio, al programma di governo del neo segretario Pd. Quelle proposte che quotidianamente stanno generando frizioni con il governo in carica di Letta il giovane.

Lo stile di Gutgeld è quello del sindaco:  affermare tutto e il suo contrario. Per esempio, per quanto concerne le regole in materia di deficit imposte dall'Europa, egli afferma: “Quello che è sicuro è che se avessimo perseguito una politica di bilancio meno restrittiva (in parole semplici: se avessimo fatto più deficit, ndr), la nostra recessione sarebbe stata meno profonda. Ma non è assolutamente certo che allargando i cordoni della borsa avremmo accumulato meno debito, il fatto che il nostro debito sia cresciuto non dimostra proprio niente”.

Ricordate Monti, che si presentò agli italiani come il paladino nella lotta all'iniquità? Gutgeld fa anch'egli della lotta all'iniquità la propria bandiera e, andando per titoli, si può esser d'accordo ma le ricette proposte, come quelle di Monti, sono la quintessenza dell'iniquità stessa e l'autostrada della deflazione.

“Tre sono le aree in cui si può e si deve intervenire: il fisco, le pensioni e l'accesso ai servizi sociali”. Come? Combattendo l'iniquità fiscale rappresentata dall'abolizione totale dell'Imu, dagli incentivi alle ristrutturazioni e al risparmio energetico “che consentono un bonus fiscale di oltre 150.000 euro a contribuente” e, bontà sua, dall'evasione fiscale. Una politica fiscale “innovativa” per Gutgeld deve prevedere la riduzione delle tasse sul lavoro, ciò può dare un impulso ai consumi maggiore dell'abolizione dell'Imu. Occorre uno sgravio di almeno 15 miliardi di euro il primo anno, da finanziare con “la vendita straordinaria di beni dello Stato” e, dal secondo anno, di  25 miliardi. “La copertura si ottiene con la riduzione della spesa e il contrasto all'evasione”,  e con “una riduzione della spesa basata su una vera riorganizzazione dello Stato”.

La pressione fiscale complessiva – continua  Gutgeld - va ridotta e “per farlo, è necessario diminuire i costi della macchina pubblica senza tagliare, anzi aumentando, la qualità dei servizi”; “serve un fisco più facile, più umano, e ancor più efficace nel contrasto all'evasione”, che utilizzi e incroci tutte le banche dati disponibili. Bisogna poi istituire la fattura elettronica, la dichiarazione dei redditi precompilata dall'Agenzia delle entrate, che il cittadino può modificare e integrare. Pensate a un fisco che punisca gli evasori? No: “Occorre limitare l'azione penale nei confronti di chi froda il fisco o di chi cerca di sottrarsi del tutto al suo dovere civile di pagare le tasse”, fare in modo che tutti paghino per pagare meno e introdurre un fondo per la riduzione delle aliquote con le risorse recuperate dal contrasto all'evasione.

Non bisogna più parlare di «evasione recuperata» ma far calcolare all'Istat il «tax gap» cioè la differenza tra quelle che sarebbero state le entrate se tutti avessero pagato e il gettito effettivo.

Con una capriola, però, Gutgeld parla poi di reimmettere nelle buste paga quanto si recupera. Insomma, per quanto concerne il sistema fiscale, nulla di nuovo sotto il sole rispetto a quanto visto dal 1994 ad oggi. L'obiettivo è sempre: la “riduzione strutturale e sostenibile dei costi della macchina pubblica di almeno 20-30 miliardi l'anno”, a partire dalle “ridondanze territoriali”, ossia tribunali, questure, provveditorati vari, et similia.

Le attività amministrative, come gare e appalti, vanno centralizzate, insomma, sembra lo sdoganamento del sistema della cosiddetta’cricca’: occorre eliminare le "assidue verifiche spesso formalistiche da parte degli organi di controllo amministrativo (Corte dei conti, Consiglio di Stato) e i potenziali interventi di una giustizia amministrativa (Tar, Corte Costituzionale) estremamente «attivista»” (sic!). Occorre, inoltre, “istituire una piccola unità che risponda direttamente alla Presidenza del Consiglio o al Ministero dello Sviluppo economico, che abbia con l'avallo diretto del presidente o del ministro la facoltà di prendere decisioni in materia fiscale e di autorizzazioni (ambientali, sanitarie in primo luogo). Decisioni che dovranno essere prese di concerto con gli enti pubblici coinvolti ma su cui la suddetta unità abbia il potere «dell'ultima parola»”.

La seconda area di intervento, manco a dirlo, deve essere, ancora una volta, il sistema pensionistico! Per Gutgeld occorre passare ad un sistema contributivo universale, intervenendo anche sulle pensioni attualmente erogate e calcolate interamente con il sistema retributivo che, al lordo, ammontino oltre i 3.500 euro mensili. Non prevede un tetto per quelle pensioni che superano i 20-30mila euro e più al mese ma il prelievo da pensioni che si aggirano sui 2mila euro netti e che spesso sono vitali per figli sottoccupati, precari o  disoccupati. Le risorse recuperate dovrebbero andare a rimpinguare le pensioni sociali e a realizzare asili nido.

Non sono previsti controlli su chi usufruisce di servizi perché dichiara un basso reddito o percepisce indebitamente pensioni, ma occorre rivedere “l'assegno di accompagnamento - che - dipende solo dal grado di disabilità, a prescindere dalle condizioni di reddito o di patrimonio della famiglia” Dare ai disabili “Un servizio, anziché un assegno, consentirebbe di mettere «in comune» gli anziani, riducendo il costo e creando per loro opportunità di socializzazione”. Insomma, bisogna sradicare il disabile o l'anziano dal proprio ambiente e mandarlo in strutture gestite dalla cooperazione sociale. A quel cosiddetto “mondo del no profit” - cui, per Gutgeld, “il nostro sistema legislativo e fiscale offre pochi incentivi” - occorre dare “reali agevolazioni fiscali”.

C’è da chiedersi: ma dove vive Gutgeld? E' al corrente di quali siano le condizioni di lavoro e di sfruttamento esistenti in molte di queste realtà, in nome del meccanismo o, meglio, della beffa del ‘socio lavoratore’? E' al corrente del livello di precarietà di quel mondo, a fronte di erogazioni spesso generose da parte di molti enti locali? Una spesa che potrebbe esser ben minore se gli stessi servizi venissero erogati direttamente e con ben altri costi sociali futuri.

Piuttosto v'è da chiedersi quanti si siano arricchiti in questi anni coprendosi dietro la foglia di fico del “no profit”. Invece, Renzi stesso, recentemente, ha dichiarato che occorerebbe istituire il servizio civile obbligatorio, da svolgersi presso le predette organizzazioni.

Gutgeld pensa poi ad un unico gestore locale del welfare. Via Inps, comuni e regioni, che possono semmai consorziarsi in un nuovo ed unico soggetto erogatore di servizi più che mai centralizzati: dalla sanità, all'assistenza ad anziani e disabili.

Ma veniamo al tema più d'attualità lo job act, la regolamentazione del mercato del lavoro, proposta da Renzi, ma anticipata da Gutgeld.

Anche qui le contraddizioni sono sovrane. Il nostro autore esordisce affermando che “eliminare oggi l'articolo 18 non serve. Anzi, sarebbe controproducente, perché genererebbe centinaia di migliaia di disoccupati in più e aggraverebbe la nostra crisi occupazionale”. Ma subito dopo scrive:”Coloro che sostengono l'abolizione dell'articolo 18 non hanno comunque tutti i torti nel dire che alla nostra produttività e competitività gioverebbe un mercato più flessibile”(sic!).

La soluzione per Gutgeld è l'istituzione di un contratto stabile a protezione progressiva, che va però accompagnato con interventi per la riduzione del contenzioso giudiziario in materia di lavoro, favorendo l'arbitrato o l'accordo tra le parti, con la defiscalizzazione dell'indennizzo risarcitorio pagato dall'azienda, se pattuito in sede extragiudiziale.

Agevolazione, poi, dell'apprendistato, con l'abolizione dell'obbligo della formazione esterna alle imprese e del limite al numero di apprendisti per le piccole aziende. In pratica, lo sdoganamento di quanto già illecitamente avviene oggi nel maggior numero di casi.

Radicale semplificazione del codice del lavoro.

Una legge sulla rappresentanza sindacale che consenta di estendere gli accordi raggiunti con le organizzazioni maggiormente rappresentative a tutti i lavoratori. In altri termini, l'espulsione dai tavoli di trattativa delle organizzazioni sindacali più piccole.

Ovviamente, nella bibbia del renzismo non poteva mancare il consueto attacco ai servizi pubblici locali, considerati cari e inefficienti, per i quali occorre “una ristrutturazione dei vari comparti che crei aziende di dimensioni sufficienti per garantirne la competitività”.

Peccato! Pensavamo servissero aziende depurate dai condizionamenti e dal clientelismo del mondo politico locale.

Sempre per Gutgeld, serve un “piano di valorizzazione degli asset pubblici” (aziende quotate e non, patrimonio immobiliare residenziale e non), ossia un piano di dismissioni degli stessi, da 10-15 miliardi l'anno.

La formula per realizzare il programma, che dovrebbe rendere gli italiani “più uguali e più ricchi” è 30x4, trenta miliardi da tagliare, investire e riallocare ogni anno, per in un quinquennio, nei settori cruciali, per poter far crescere il pil di due punti l'anno: tasse, spesa, investimenti e assegni sociali. Partendo dalla riduzione delle aliquote fiscali e dei costi che gravano sui datori di lavoro e non dalle buste paga dei lavoratori. Investire meno in grandi opere ed erogare meno sussidi a pioggia alle imprese, fornendo invece garanzia al credito per piccole e medie imprese. Per finire, con un taglio di 50 miliardi di euro della spesa a sostegno della non autosufficienza (assegni per l'accompagno ai disabili e pensioni di invalidità).

Solo così per Gutgeld si libereranno energie per l'innovazione, per trasformare in ricchezza la bellezza del paese, per far ripartire l'Italia.

Un insieme di ricette vaghe, talvolta ovvie come per le opere pubbliche, talaltra davvero pericolose per chi già oggi è in difficoltà e rischia di esserlo ancor più.

Non è così che si ridà dignità al lavoro.

Non è certo così che si potrà “cambiare verso” e ridurre le crescenti iniquità che regnano nel paese, soprattutto non con una eccessiva e poco democratica semplificazione del sistema istituzionale, tanto più se i partiti dipenderanno esclusivamente dai finanziamenti dei privati, con la conseguenza che faranno l'interesse di questi e non della collettività. Più di quanto non accada già oggi.

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