Vincolandosi a una forsennata tabella di marcia, Renzi piè veloce ha dichiarato di voler fare una riforma al mese, indicando nell’aprile appena trascorso quello destinato alla rivoluzione della pubblica amministrazione.
Sta di fatto che ancora il giorno 29 del predetto mese della sbandierata riforma, “la più difficile di tutte”, nessuno sapeva alcunché di preciso.
Et voilà! Dopo un consiglio dei ministri tenutosi nel pomeriggio, nella serata del 30 aprile Renzi l’inarrestabile, accompagnato dal ministro Marianna Madìa, ha invaso tutti i telegiornali, per illustrare l’annunciata rivoluzione.
Dopo aver ascoltato, non senza trepidazione e in religioso silenzio, le parole del Rottamatore, ho subito pensato di non aver capito bene il suo messaggio e sono andato a consultarmi con alcuni amici per conoscere la loro opinione. Credevo di sbagliarmi, ma tutti abbiamo avuto la stessa impressione, quella cioè di essere stati destinatari dell’ennesimo annuncio.
In poche parole, di riforma nemmeno l’ombra ma soltanto linee guida e una lettera ai dipendenti pubblici, dai quali (e dai sindacati) si attendono considerazioni e suggerimenti, da far pervenire entro 30 giorni all’indirizzo
Insomma non c’è la riforma annunciata ma si promette una rivoluzione futura, dove è fin troppo facile osservare come anche il vocabolo rivoluzione sia ormai caduto vittima della tragicomica manomissione delle parole cui assistiamo quasi ogni giorno, accompagnata dall’immancabile quanto non necessaria fuga verso la lingua inglese (jobs act, open data … ), che lascia tanto più sgomenti se si pensa che viene compiuta da un governo guidato da un conterraneo di Dante.
Delle linee guida colpisce soprattutto la loro vaghezza, tanto evidente da non richiedere dimostrazioni. Né più chiari sono i termini della dialettica tra le stesse linee guida e le attese proposte dei dipendenti pubblici (e dei sindacati), cioè se questi possano con i loro suggerimenti cambiare quelle o se, viceversa, le linee guida siano intangibili.
Che dire!?! Perduta la sovranità e svuotata la rappresentanza, i cittadini, ma solo se dipendenti pubblici, sono ora chiamati a far sentire la loro voce su alcuni “capitoli” dell’attuale assetto della nostra amministrazione. Più che un cambio di metodo, un’inedita torsione del decisionismo renziano verso la “democrazia della rete”. La qual cosa potrebbe pure avere un senso, se si sapesse però almeno di che cosa stiamo parlando.
Ci hanno garantito che a giugno, per l’esattezza il 13, tutto sarà più chiaro.
Non ci resta che attendere, meditando sul fatto che nel sommario delle iniziative rivoluzionarie annunciate dal Messia di Pontassieve vi è anche “il censimento degli enti pubblici”.
Incredibile ma vero!