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Domenica, 05 Mag 2024

Continuando a sfogliare le oltre 600 pagine del “Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2013”, redatto dall’Anvur, si scopre che l'università, anche con il governo dei professori, non è diventata una priorità, tant'è che lo scorso anno le somme stanziate dal Miur per il finanziamento del sistema universitario e per il sostegno agli studenti e al diritto allo studio sono state pari a 7,3 miliardi di euro (di cui 6,9 destinati al finanziamento del sistema e 400milioni per il diritto allo studio), pari all'1% del Pil, 0,65% sotto la media OCSE.

La quota coperta dal finanziamento pubblico è progressivamente scesa fino al 67,6% del totale, mentre in Francia, Germania e Spagna, il finanziamento pubblico rimane prossimo o superiore all’80%.

Di contro, la quota della spesa sostenuta dalle famiglie con il 24,4%, (in media 1.451 euro annui al Nord, 1.055 al Centro e 733 nel Mezzogiorno) è la più alta tra i paesi dell’Unione Europea, se si prescinde dal Regno Unito.

Mediamente, solo il 19% degli studenti riceve forme di sostegno, con grandi differenze da una regione all'altra, sia per le borse di studio che per le residenze universitarie (39.000 in tutto il paese, 50% ubicate al nord, 30% al centro e 20% al sud).

Un discorso a parte va fatto per le borse di studio per i dottorati, rimaste relativamente stabili nel tempo in tutte le aree geografiche. A riceverle è il 55-57% dei dottorandi ma, comunque, con il taglio dei corsi sono scese da 8.600 nella metà dello scorso decennio a circa 7.000 nel 2013.

Un altro dato preoccupante è il numero di studenti per docente, arrivato a 28 e 29 negli atenei del nord e del centro e a 34 nel sud.

Per Anvur, “tali differenziali, riflettono il maggior tasso di irregolarità negli studi registrato dagli studenti degli atenei meridionali.” In altri termini, sembra di capire che gli studenti sarebbero di più perché impiegano un tempo più lungo per laurearsi. Insomma, Anvur non si pone neppure il dubbio che quel maggior tempo possa dipendere proprio dal fatto che con questi numeri difficilmente si riesce ad avere un rapporto frontale proficuo con i docenti.

Ma la situazione è destinata a peggiorare, se è vero, come è, che tra il 2008 e il 2013, in seguito a provvedimenti che hanno limitato il turnover e ridotto i trasferimenti al sistema universitario, il corpo docente si è assottigliato del 15%, mentre il numero degli ordinari è diminuito del 30%, riportando la loro quota a circa il 26% del totale. Unica eccezione, l’area giuridica e quella economico-statistica. Nel 2013 i docenti universitari italiani di ruolo risultavano pari a 53.459 (erano 62.753 nel 2008), di cui il 95,4 per cento in servizio nelle istituzioni statali. I professori ordinari erano 13.883, gli associati 15.830 e i ricercatori universitari 27.055 (di cui 3.309 a tempo determinato). L'età media:59 anni per gli ordinari, 53 per gli associati e 46 per i ricercatori.

La contrazione del corpo docente registrata negli ultimi anni è stata accompagnata da una crescita costante del numero dei ricercatori a tempo determinato e, in generale, del personale non strutturato impegnato in attività di ricerca: assegnisti, borsisti e collaboratori a vario titolo, per un totale di circa 27.000 unità, pari al 50% del corpo docente.

Nel 2013, più della metà dei 16.081 assegnisti era impiegata in atenei del Nord, dove vi erano quasi 40 assegnisti ogni 100 docenti (nel Nord-ovest, superano il numero dei ricercatori a tempo indeterminato), mentre nel Mezzogiorno vi erano 19 assegnisti ogni 100 docenti. Impegnati, soprattutto, nelle aree scientifiche e bio-mediche, essi hanno un'età media di 34 anni.

Nel 2012, i collaboratori di ricerca (borsisti) erano 8.035, di cui 6.588 operanti nell'università pubblica, dove sono 12 ogni 100 docenti, mentre nelle private sono 60 ogni 100 docenti.

Nelle università non statali v'è quasi un ricercatore a tempo determinato ogni 3 docenti e 7 ogni 10 ricercatori a tempo indeterminato, mentre nelle statali 5 ogni 100 docenti e 14 ogni 100 ricercatori a tempo indeterminato.

Tra il 2014 e il 2018 dovrebbero lasciare la cattedra oltre 9.000 docenti di ruolo: 4.440 ordinari, 2.550 associati, 2.270 ricercatori.

Nel frattempo, come noto, sono partite le procedure per l'abilitazione scientifica. Anvur, però, nulla ci dice in merito alle tante contestazioni e alla marea di ricorsi. “Le Commissioni costituite per la prima tornata della procedura di abilitazione sono state 184, distinte per le 14 aree CUN (109 per i settori bibliometrici, dove i candidati all’abilitazione sono risultati 35.899, e 75 commissioni dei settori non bibliometrici dove i candidati sono risultati 23.294).

La procedura di abilitazione ha riguardato 59.193 candidati: 18.073 aspiranti alla I fascia delle docenza (docenti ordinari) e 41.120 alla II fascia (docenti associati). Le domande per la I fascia sono state complessivamente 21.295 e quelle per la II fascia 47.160, delle quali rispettivamente 3.850 e 18.273 inoltrate da esterni al sistema universitario ( 32,3%). Le domande di soggetti esterni sono state 22.123. Tenuto conto che ciascun candidato poteva inoltrare istanza di partecipazione per diversi settori concorsuali e candidarsi sia per la I sia per la II fascia, il numero delle domande risulta superiore al numero dei soggetti coinvolti. I risultati saranno sottoposti ad analisi dall’ANVUR”.

Staremo a vedere quali saranno i risultati di tale analisi.

Intanto, anche Eurostat si è accorto che negli ultimi 10 anni i pre­ca­ri nelle università sono aumentati di 10 mila unità. Prova provata che al blocco del tur­no­ver le uni­ver­sità hanno rispo­sto mol­ti­pli­cando il numero dei con­tratti pre­cari, senza con­tare le forme di lavoro volontario gra­tuito.

Solo il 7% dei 35 mila con­tratti sti­pu­lati si è tra­sfor­mato in assun­zioni. Il 35% dei ricercatori non confermati è disoc­cu­pato. Nell'intero comparto dell'istruzione ci sono almeno 141 mila docenti pre­cari,  che si sommano ai tanti amministrativi e tecnici anch’essi pre­ca­ri.

Insomma, si può affermare, senza tema di essere smentiti, che università e scuola sono ancora in funzione grazie all'utilizzo di un esercito di precari. (2 – continua)

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