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Domenica, 05 Mag 2024

Mentre non accennano a placarsi le polemiche sulle modalità selettive inaugurate con l’abilitazione scientifica nazionale, diventate oggetto di una valanga di ricorsi, assolutamente inimmaginabile fino a qualche anno fa, quando le regole di costituzione materiale quasi ponevano la materia dei concorsi universitari al di fuori del controllo dei giudici, i media nazionali stanno dando in questi giorni ampio risalto a un’indagine della Procura di Bari, relativa a concorsi universitari “truccati”, svoltisi nel biennio 2008-2009, che vede coinvolte una quarantina di persone, accusate, a vario titolo, di associazione a delinquere, corruzione, truffa aggravata e falso.

In ossequio al monito di Wittgenstein, secondo cui “di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”, mi guardo bene, non conoscendo gli atti d’indagine, dall’esprimere opinioni in merito. Di qualche rilievo mi sembrano, invece, suscettibili talune prese di posizione sull’inchiesta dei magistrati del capoluogo pugliese.

La storia deve aver scosso l’ambiente visto che, nello scorso mese di novembre, dopo le prime notizie sull’indagine in corso, due autorevoli studiosi ex giudici costituzionali, sulle colonne del Corriere della Sera, hanno senza mezzi termini espresso le loro forti perplessità sulla vicenda, riassumibili, in estrema sintesi, nei seguenti punti: 1) la singolare coincidenza temporale tra l’emersione dell’inchiesta e il coinvolgimento in essa di studiosi impegnati nella commissione governativa per le riforme costituzionali, quasi che di queste, screditando gli autori, si volessero bloccare le prospettive di successo; 2) la nebulosità dell’indagine, ma soprattutto le sue lungaggini, sottolineandosi che ”mentre si va a caccia di ipotetici reati commessi dagli indagati, c’è un reato sicuro, la rivelazione di atti coperti da segreto, e i possibili responsabili sono da ricercarsi fra coloro che a quegli atti hanno avuto accesso”.

In altre e più povere parole, ci si lamentava di trovarsi di fronte a una sorta di giustizia a orologeria e alla violazione del segreto istruttorio, ossia si avanzavano quelle stesse critiche che in questi anni, soprattutto da certi ambienti, sono state spesso rivolte alla magistratura, finendo sempre per essere respinte con fermo sdegno, talora accompagnato da feroce sarcasmo. Viene da chiedersi se, ove gli indagati non fossero stati dei colleghi professori, gli autorevoli giuristi avrebbero reagito allo stesso modo o se, invece, non avrebbero scelto di astenersi da qualsiasi commento, tutt’al più rifugiandosi, se provocati, dietro l’ossequio al principio dell’indipendenza della magistratura, che esige che ”la giustizia  deve fare il suo corso”. Insomma, a prescindere dall’essere o meno condivisibili, quelle critiche appaiono decisamente inopportune, in quanto provenienti da chi, di solito, prudentemente si astiene dal farle, ma facendole ha dato l’impressione di aver agito dietro l’irrefrenabile impulso del “richiamo della foresta”.

Ora che i media sono tornati a parlare dell’indagine della procura barese, diffondendo stralci di intercettazioni delle chiacchierate tra i professori che hanno accompagnato lo svolgimento dei concorsi, attraverso un’intervista (una vera e propria Stele di Rosetta per i non addetti ai lavori), un altro autorevole giurista si è dato la briga di spiegarci quanto sia complessa la “valutazione” di un aspirante accademico: ”un concorso universitario non è come un concorso di accesso, che so, alla magistratura, non è un quiz anonimo dove vince il migliore in quel momento. Non è una corsa di cavalli. In un concorso universitario si valuta una carriera, una vita di studi”.

E più avanti, alla domanda come mai i risultati erano noti prima che fossero banditi i concorsi, la risposta è stata la seguente: ”Ricordo la battuta di un mio maestro, quando prima di un concorso c’era sempre qualcuno che annunciava in busta chiusa i nomi dei vincitori. Ci si dovrebbe preoccupare se non li azzecca … diceva. Scherzava, ma non troppo. Perché in quell’occasione si valuta una carriera, non soltanto le singole prove. Ed è normale avere chiara un’idea già da prima. Io ritengo sia molto più civile assecondare una opinione comune che supera le possibili storture dell’arbitrio del singolo”.

Insomma, c’è da stare tranquilli, visto che alla selezione presiede tutta un’occhiuta comunità scientifica cui nulla sfugge. Resta solo da capire però come mai, quando si devono votare i membri delle commissioni di concorso, miti professori non trovino di meglio che buttarsi in memorabili “battaglie” (sono loro a chiamarle così) per consentire che entrino a farne parte certi colleghi anziché altri, dando così l’impressione - ma solo l’impressione, ci mancherebbe - di volerne condizionare le scelte. Se le cose stanno come si dice nell’intervista, tanto varrebbe procedere con un’estrazione a sorte. Misteri dell’accademia.

Staremo a vedere se coloro che hanno superato il “quiz anonimo dove vince il migliore in quel momento” si convinceranno della spiegazione data nell’intervista dall’autorevole giurista, anch’egli consapevole che il suo “ragionamento può sembrare impopolare”.

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