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Giovedì, 02 Mag 2024

Merito è, come pochi altri, un concetto indeterminato, che occorre, dunque, di volta in volta, riempire di contenuto, così da cercare di pervenire a valutazioni fondate su una giusta comparazione.

Già non è facile a dirsi, figuriamoci a farsi.

Nell’università italiana, poi, con tutte le polemiche che l’attraversano, operare sempre, come si dovrebbe, secondo scelte meritocratiche sembra un obiettivo quasi irraggiungibile.

Certamente, il problema degli strumenti valutativi da adottare, più facile da risolvere per le cosiddette “scienze dure”, diventa notevolmente più complicato per i settori umanistici.

Della questione ha trattato diffusamente Maurizio Bettini su La Repubblica del 25 giugno scorso, mettendo soprattutto l’accento sul pericolo costituito dalla “classificazione gerarchica delle riviste (peraltro spesso scientificamente infondata)”, che provocherebbe una vera e propria corsa a pubblicare in certe riviste, quelle più quotate ovviamente, e non in altre, per motivi ormai non più di prestigio ma di pura carriera e “spesso di sopravvivenza”.

Per rimediare, perciò, occorrerebbe quanto meno attribuire lo stesso valore a tutte le riviste di area umanistica.

Su questi e altri temi, di stringente attualità, ci è stato gentilmente inviato dal prof. Antonio Pioletti, ordinario di Filologia romanza presso l’Università di Catania, un documento elaborato dalle Consulte scientifiche dell’Area 10, a conclusione dei lavori svoltisi nel corso del Seminario nazionale su “Saperi umanistici e valutazione”, tenutosi a Roma il 16 maggio scorso.

Come si legge testualmente nel documento, ”i settori dell’Area 10 puntano a un sistema di valutazione che

  • tenga conto, sulla base del giudizio della comunità scientifica dell’Area, delle loro specificità, dell’ampiezza della tipologia dei loro contributi (monografie, edizioni critiche, edizioni di fonti, traduzioni con note critiche e così via) e del loro spessore scientifico finalizzato alla costruzione dei saperi;
  • non enfatizzi il ruolo dei “contenitori” (riviste, collane, editori, ecc.) ma li pieghi a un’adeguata definizione di scientificità tenendo soprattutto conto della trasparenza delle procedure nella selezione dei prodotti. D’altronde, qualsiasi collegio giudicante non può, da ultimo, sottrarsi alla responsabilità di valutare il singolo “prodotto” come contributo alla costruzione dei saperi, indipendentemente dalla lingua o dalla sede in cui esso appare;
  • lasci il ruolo centrale della peer review, arginandone con le misure opportune (controllo delle incompatibilità, doppio cieco, ecc.) i rischi legati alla soggettività di giudizio;
  • si avvalga in modo complementare di indicatori quantitativi che possono fondarsi sulla costruzione di un’adeguata anagrafe dei prodotti della ricerca, sulla sistematica mappatura da parte dei settori dell’Area delle riviste scientifiche (rivedendo l’attuale, ancora largamente carente e incoerente), sul diverso peso da attribuire alle differenti tipologie di prodotti, utilizzando anche database già esistenti (ad es., fabula, Academia.edu, ecc.) in cui il numero di visualizzazioni è un dato già disponibile per diverse discipline della nostra Area;
  • nella valutazione valorizzi la sintonia fra tutte le aree in cui si articolano gli studi umanistici e sociali, favorendo le ricerche interdisciplinari e valorizzando il reciproco riconoscimento delle riviste.
  • valorizzi l’uso delle diverse lingue pertinenti ai SSD e agli ambiti di ricerca”.

Per quanto attiene alla valutazione da prevedere nel sistema dell'Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), secondo lo stesso documento, ӏ urgente una profonda revisione dei suoi meccanismi prevedendo un sistema di valutazione qualitativo che assicuri prospettive alle nuove leve della docenza e gli avanzamenti in ruolo, distinguendo in modo chiaro reclutamento e progressione di carriera.

Da prendere in considerazione sono due livelli strettamente legati fra loro, il primo relativo alle proposte di nuove procedure abilitative, il secondo attinente all'esigenza largamente avvertita di una ridefinizione della funzione e dello stato giuridico dei docenti.

  1. Per il primo livello, è auspicabile un sistema basato su alcuni capisaldi:
  2. commissioni ampie, con presenza di valutatori di tutti i settori scientifico-disciplinari interessati la cui articolazione va rimodulata, rendendone più esplicita l’apertura interdisciplinare; tali commissioni debbono essere definite numericamente in rapporto alla platea del settore concorsuale;
  3. possibilità di prescindere dalla presenza del membro OCSE che, ove previsto, va scelto sulla base di criteri trasparenti che garantiscano la conoscenza da parte sua dei meccanismi di valutazione e di reclutamento del sistema italiano, nonché della lingua italiana;
  4. emanazione di un bando annuale con almeno due finestre temporali per presentare domanda;
  5. valutazione di merito di un numero limitato di pubblicazioni scelte dal candidato tra le più significative della sua produzione scientifica non limitata agli ultimi anni e che denoti comunque continuità;
  6. sostituzione delle mediane con altri indicatori di qualificazione scientifica (profilo scientifico del candidato, partecipazione a progetti di ricerca, respiro internazionale dell’attività scientifica svolta, partecipazione in qualità di relatore a congressi) e di esperienza didattica;
  7. previsione di un canale di reclutamento sulla base del sistema tenure track.

II. Per il secondo livello, appare urgente aprire una riflessione più sistematica sul ruolo docente, sulle figure in cui si articola, su diritti e doveri connessi al ruolo, sulle modalità a regime delle progressioni di carriera e stipendiali, ancorandole, in ogni fase e aspetto della carriera accademica, a procedure di valutazione che escludano qualsiasi logica di ope legis, di cooptazione e di automatismi.

Il quadro di riferimento sopra prospettato, tenuto conto della considerevole quantità di pensionamenti previsti, delle esigenze di tenuta dei Corsi di studio e dello sviluppo della ricerca scientifica di base, necessita di un rifinanziamento adeguato dell'Università pubblica che metta in grado gli Atenei, superando il sistema del punto organico, di prevedere, sulla base delle loro risorse e delle loro esigenze di offerta formativa e di ricerca, una programmazione almeno triennale di nuovo reclutamento e di progressioni di carriera, che dia anche risposta agli abilitati alla prima e seconda fascia, e fra essi ai non strutturati”.

Di tutto questo, resta ora da vedere cosa ne pensano al Miur.

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