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Mercoledì, 03 Lug 2024

Ci eravamo lasciati all’inizio delle ferie con il governo che aveva lanciato le consultazioni sulla riforma della giustizia, incentrata sull’idea-forza del processo civile veloce, dato che sull’ipotesi di riforma di quello penale non c’è accordo tra i partiti e nemmeno l’associazione dei magistrati ha manifestato entusiasmo.

In fin dei conti, è passato poco più di un mese ma sembra trascorso un secolo. Al governo pié veloce, quello di una riforma al mese, è subentrato il governo del “passo dopo passo”, con tanto di sito omonimo. Sì, perché, senza darlo troppo a vedere, ci si è accorti che per “cambiare verso” all’Italia non bastano 100 giorni ma ce ne vogliono 1000. Insomma tre anni, un arco temporale che per una maggioranza non eletta dal popolo rappresenta un tempo di vita quasi da record.

Nel frattempo è venuto pian piano chiarendosi il modus operandi renziano: dopo l’annuncio della riforma di turno, sui punti,  sempre pochi, su cui c’è consenso, si fa il decreto legge, mentre su tutti gli altri, la maggioranza, sui quali il consenso non si trova, si va avanti con i disegni di legge, che non hanno scadenza, salvo il limite della fine della legislatura, ma, se proprio piacciono, si possono ripresentare alla legislatura successiva. Proprio non si comprende, invece, l’opzione di ricorrere al decreto legge, che presuppone la necessità e l’urgenza, per adottare scelte, come il prepensionamento di certi magistrati, che produrranno i loro effetti solo a partire dal 2015. Ma tant’è.

Anche se ormai hanno quasi tutti capito che il parere dei cittadini non conta niente, per chi vuole “partecipare” in questi giorni c’è la consultazione per la riforma della scuola, settore dal quale si è detto di voler espungere la “supplentite”. Incontenibile la soddisfazione dei professori, tra i quali c’è chi si è quasi commosso, “dopo anni di agognato precariato” (così, testualmente, da un’intervista a Italia uno). Peccato che, more solito, nel giro di poche ore sia arrivata la doccia fredda della Ragioneria generale dello Stato che, a scanso di equivoci, ha fatto sapere, senza mezzi termini, che i soldi non ci sono.

Altrove le cose non vanno meglio, sol che si pensi che la ricerca pubblica, quanto a fondi su cui contare, è quasi in mutande da alcuni anni, ma quest’estate ha fatto notizia solo il topless della ministra Stefania Giannini, che per qualche giorno ha oscurato addirittura l’inarrivabile collega Maria Elena Boschi.

Per gli “statali”, manco a dirlo, di rinnovare il contratto non se ne parla, almeno per tutto il 2015. Di fronte ai ( per ora solo) mugugni che ne sono seguiti, la ministra Madia si è dichiarata sorpresa per tanta ingratitudine, visto che - a suo dire - uno su quattro, tra coloro che hanno ricevuto gli 80 euro, è un dipendente pubblico.

Le forze dell’ordine, che hanno uno stipendio medio pari a quello di una colf in regola, sono tra quelli che, giustamente, l’hanno presa proprio male, minacciando addirittura uno “sciopero”, che poi sarebbe il primo del genere nella storia, dunque assai pernicioso per l’immagine del premier.

Ma Renzi, ricorrendo a una metafora da consumato norcino (“nella pubblica amministrazione c’è grasso che cola”), non si è scomposto più di tanto e ha già fatto sapere, con buona pace di “gufi” e “rosiconi”, che “lui le riforme le farà, costi quel che costi”.

Tanto i costi li paghiamo sempre noi.

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