La V sezione penale della Corte di Cassazione, con una recente decisione (n.41190 del 2014), ha annullato senza rinvio per insussistenza del fatto una sentenza con la quale il Tribunale di Cassino in funzione di giudice di appello aveva confermato la pronuncia di primo grado in virtù della quale due persone erano state condannate perché riconosciute colpevoli dei reati di ingiuria e minaccia, con l’obbligo anche di risarcire il danno.
Al di là della bravura degli avvocati degli imputati, che sono riusciti a capovolgere ben due sentenze sfavorevoli ai loro assistiti, quel che interessa in questa sede è proprio il capo di imputazione che, mutatis mutandis, è sostanzialmente identico per entrambi gli imputati, che avrebbero proferito all’indirizzo del denunciante-soccombente parole con le quali si auguravano la morte di quest’ultimo.
Ebbene, secondo gli ermellini, “augurarsi la morte di un’altra persona è certamente manifestazione di astio, forse di odio, nei confronti della stessa persona, ma poiché il precetto evangelico di amare il prossimo come se stessi non ha sanzione penale, la sua violazione è, appunto, penalmente irrilevante. Meno che mai costituisce ingiuria, perché desiderare la morte altrui non sta necessariamente a significare che si intende offendere l’onore e il decoro (e che di fatto li si offende).”
Secondo la Cassazione, non c’è nemmeno la minaccia, dato che “il male ingiusto e futuro che si prospetta alla persona offesa deve essere rappresentato come conseguente ad un’azione dell’offensore”, mentre nel caso di specie tutt’al più ci troviamo di fronte a “una manifestazione di scarso affetto” ovvero di ”mancanza di fair play tra avversari processuali”. Insomma, l’animo malevolo non manca, ma restiamo nel penalmente irrilevante.
Se tale orientamento dovesse consolidarsi, il minimo che ci sentiamo di dire è che, almeno con la giustizia, menagrami e iettatori possono dormire sonni tranquilli. Pure questa è una certezza, per carità.
Ma, con tutto il rispetto per i litiganti, riteniamo che simili vicende non meritino di giungere fino all’attenzione della Suprema Corte di cassazione, che dovrebbe avere ben altri affari da sbrigare.