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Sabato, 04 Mag 2024

Con l’intervento di un gruppetto di persone di indirizzo culturale e politico abbastanza omogeneo (Carrozza, De Rita, Nicolais, Novelli e Tocci), laddove sarebbe stato forse più opportuno far partecipare anche qualche altro personaggio di diverso orientamento, lunedì prossimo, 27 ottobre, si terrà, presso la sede centrale del Cnr (Aula Marconi), la presentazione del libro dell’ex presidente Lucio Bianco, edito da Donzelli, “La ricerca e il Belpaese. La storia del Cnr raccontata da un protagonista”, che viene proposto in forma di conversazione dell’autore con Pietro Greco, giornalista scientifico dell’Unità.

Per non farci (per i maligni, farsi) mancare niente, il libro-conversazione è preceduto, oltre che da un’introduzione dello stesso Greco, da una prefazione di Raffaella Simili e, soprattutto, seguito da una postfazione di Luciano Canfora.

Ora, se nella postfazione leggiamo che il libro di Bianco è utile in sé, come testimonianza storica, giudizio che troviamo ineccepibile, nella introduzione assistiamo addirittura al tentativo di accostare la resistenza di Bianco alla  ministra Moratti a quella opposta da Volterra, ideatore del Cnr, a Benito Mussolini. Analogia, a parer nostro, forse seducente ma certamente faticosa, che francamente non ci sentiamo, nemmeno con la clausola del “si parva licet”, di condividere, anche alla luce delle diverse conseguenze cui gli assimilati comportamenti hanno messo capo nelle diverse situazioni, dato che - opponiti oggi, opponiti domani - Volterra ha perso il Cnr e pure la cattedra. Cosa che nell’Italia democratica è, come si sa, assai difficile a verificarsi. Senza nulla togliere alla signora Moratti, del resto, mai avuto dubbi che il duce fosse un po’ più tosto di lei.

Venendo al libro-conversazione, abbiamo appreso che presidente del Cnr è stato persino Pietro Badoglio, noto al grande pubblico come successore di Mussolini e, prima ancora, come l’eroe di Addis Abeba.

A lui, insomma, ma l’analogia è nostra, è accaduto un po’ quel che è capitato a Cesare Balbo. Per “far dimenticare” le imprese di entrambi, infatti, Mussolini ha dirottato quest’ultimo in Libia, a fare il governatore, mentre per il primo non ha trovato niente di meglio che la presidenza del Cnr, al quale il maresciallo, con la scusa delle possibili ricadute militari delle scoperte scientifiche, è riuscito a far arrivare una montagna di quattrini: oltre 22 milioni di lire nel 1939, quasi tre volte il bilancio del 1935.

Curiosità a parte, poiché non è certamente questa la sede per ripercorrere, neanche in sintesi, la storia del più grande ente di ricerca italiano, abbiamo scelto di concentrarci maggiormente sul racconto che Bianco fa del proprio periodo di presidenza (1997-2003).

L’apologia era lecito aspettarsela e, infatti, puntualmente c’è stata, ma siamo nondimeno rimasti stupiti nel leggere che tutti, persino i giornali, sapevano che Bianco sarebbe diventato presidente del Cnr, tranne lui, che però poi dichiara di non essere un ingenuo e di rendersi conto che “deve esserci stato un gradimento politico”, probabilmente - è Bianco stesso ad affermarlo - sollecitato da Franco Marini, segretario del Partito popolare, lo stesso in cui militava Gerardo Bianco, fratello di Lucio, politico di lungo corso, avendo passato circa 40 anni in parlamento.

Simpatica anche la cronaca della conferma alla guida del Cnr, questa volta ad opera del ministro Amato, che l’avrebbe motivata col sostegno “della comunità scientifica” a Bianco, notizia che ci fa infinitamente piacere, soprattutto se pensiamo a tutte le volte in cui gli uomini di scienza si dolgono di essere totalmente trascurati dalla nostra classe politica. Certo, sia pure col senno di poi, riteniamo che ricorrere a un Search committee alla Mussi, quello che nel 2008 comunicava per telefono e non per verbale la scelta del presidente del Cnr, sarebbe stato senz’altro preferibile. Ma forse i tempi non erano ancora maturi

Quanto alla sua gestione dell’ente di piazzale Aldo Moro, Bianco si sbraccia nell’elogio dei comitati di consulenza, senza soffermarsi troppo sugli accorpamenti degli istituti, 300 prima della riforma e poi diventati 105, “comunque un buon risultato … perché la mia idea era che si dovesse e potesse arrivare a 70 o 80”.

Concede che “in qualche caso abbiamo anche imposto una decisione, ma perché c’è stata resistenza”. Si trattava, a suo parere, di una “giustificabile razionalizzazione”, mentre era assolutamente non condivisibile il “taglio aziendalistico che la ministra (Moratti) intendeva dare alla ricerca pubblica italiana”. Col Nostro, paladino dell’autonomia, fu dunque subito “incomunicabilità”. La ministra nemmeno lo riceveva. Proprio lui, Bianco, che  riusciva a parlare persino col mitico Gianni Letta, nonostante la leggenda metropolitana che tuttora lo descrive come irraggiungibile.

Nel merito, quel che proprio a Bianco non andava giù era che la Moratti facesse il ministro, cercando di perseguire (per di più con l’ausilio di una società di consulenza aziendale, che non chiedeva niente a nessuno, men che meno a lui) il controllo politico degli enti di ricerca che, per come la vedeva lui, erano sempre stati autonomi. Quanto alle accuse di inefficienza rivolte dal governo all’indirizzo del Cnr, Bianco si limita a rispondere che erano ingiustificate. Chissà che cosa egli direbbe adesso, di fronte al crollo di produzione scientifica di cui Il Foglietto si è occupato qualche settimana fa!?!

Quanto alle prospettive future del Cnr, Bianco non ha dubbi: occorre tornare alle origini e recuperare lo spirito di Volterra. Come se fosse facile.

Chissà che ne pensa Nicolais, che potrebbe anche spiegarci i motivi del predetto crollo di produzione, per il quale non vale nemmeno l’attenuante dell’ideologia “aziendalistico-autoritaria” della Moratti.

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