Il Tar Puglia, sez. II di Lecce, con una recente sentenza (n.2597 del 20 ottobre 2014) ha riconosciuto il diritto di un genitore a poter conoscere il contenuto del compito scritto (nel caso di specie, si trattava di un tema di italiano) del proprio figlio minore.
Manco a dire che ci fossero problemi di voto. Il minore in questione, infatti, era stato promosso addirittura con dieci e lode, sicché la scuola ha ritenuto ragionevole opporsi e, di fatto, si è opposta, non ritenendola fondata, all’istanza ostensiva del genitore.
Rien à faire, direbbero i nostri cugini d’Oltralpe. Non solo la scuola ha avuto torto, ma, nel regno della compensazione, è stata pure condannata alle spese.
I giudici non hanno ritenuto di accogliere l’obiezione della scuola, considerando del tutto irrilevante il ragguardevole risultato scolastico, un vero e proprio successo, del minore, rubricato come privo di pregio e comunque recessivo rispetto all’esercizio della potestà genitoriale, che comprenderebbe – ad avviso del Tar - anche la possibilità di esercitare una vigilanza sugli orientamenti culturali che un minore va formandosi nel suo percorso scolastico.
Poiché le sentenze si rispettano, ma si criticano pure, la prima cosa che ci stupisce è che i giudici amministrativi, nel caso di specie, sembrano quasi aver piegato la disciplina dell’accesso all’esigenza di ergersi come pedagoghi. In secondo luogo, non possiamo non sottolineare l’excusatio non petita manifestata nella sentenza stessa, laddove, dopo aver riconosciuto la fondatezza della pretesa del genitore sulla vita del figlio, si precisa che “questo non vuol dire riaffermare una concezione paternalistica della potestà genitoriale in netta controtendenza con i tempi attuali”.
Paternalismi a parte, la legge sull’accesso contiene tante belle cose, ma non investe certo la dialettica padre/figlio, che dovrebbe risolversi in un dialogo tra loro, non certo nella lettura dei temi del secondo da parte del primo.
A parer nostro, ciascuno ha il diritto di nutrire proprie personali aspettative, che magari col tempo cambierà, ma intanto vuole serbare per sé, proprio come fa chi tiene un diario, in cui versa idee, opinioni e sentimenti, che pretende non vengano violati dall’altrui curiosità. Altrimenti, aveva ragione chi, aprendo una prospettiva inquietante, sosteneva che “quando sei nato non puoi più nasconderti”.
Conclusivamente, speriamo che una sentenza siffatta, lungi dall’aprire un filone magari destinato a consolidarsi, finisca per essere relegata nella cosiddetta “giurisprudenza solitaria”. Cuius memoria non exstat.