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Sabato, 04 Mag 2024

de VivoNegli ultimi due anni sono intervenuto varie volte in merito a problemi della Riforma Universitaria in generale.

Per riformare l'Università italiana, a mio avviso, bisognerebbe rifarsi a quello che è successo in Cina, dove hanno fatto tabula rasa del loro vecchio sistema, ed hanno adottato tout court il sistema di riferimento americano.

La causa della poco esaltante classifica delle Università Italiane nel ranking mondiale non è solo una questione di fondi o di contesto economico territoriale effettivamente svantaggiato. L’Università, così come è, è essa stessa una parte del contesto svantaggiato e, dunque, una parte del problema e non solo vittima di questo, mentre invece dovrebbe contribuire a introdurre elementi propulsivi di cambiamento e di sviluppo, a patto però di guardare dentro se stessa, in maniera non autoconsolatoria, ma più lucidamente autocritica. Cominciando, per esempio, a mettere in atto obiettivi e modalità di autovalutazione (della didattica e della ricerca) non burocratica e formalistica, ma capaci di far emergere le questioni strutturali vere e decisive: in primo luogo le cause di una carenza di attrattività internazionale, per studenti e ricercatori; l’insensatezza di una offerta didattica resa solo più pletorica e sconclusionata da una applicazione corporativa della riforma; l’imprigionamento della ricerca in canali, programmi e pratiche tanto conformistici quanto lontani da una reale incidenza sul territorio e sul mercato del lavoro reale. Praticando una valutazione ex post degli esiti scientifici e delle ricadute di lunghe e dispendiose attività di ricerca applicata sviluppata in tanti consorzi, centri di competenza et similia, ai quali pure non sono mancate risorse.

In altri termini, bisognerebbe abbandonare pratiche formalistiche di valutazione - che servono solo a redigere statistiche e classifiche penalizzanti ed elusive dei problemi veri che impediscono lo sviluppo pieno del merito scientifico e delle energie reali dei giovani capaci - fuori da rivendicazioni assistenzialistiche/clientelari.

Si operi scardinando nel sistema universitario, locale e nazionale, "equilibri" baronali a presidio di interessi corporativi consolidati, che spiegano in tutta la sua nuda realtà il pessimo ranking delle Università Italiane nel panorama internazionale.

Ciò detto, i punti essenziali che una riforma dell’Università credibile dovrebbe toccare, avendo come obiettivo irrinunciabile la premialità del merito, sono: 1) Autonomia reale e totale alle Università, che devono essere in grado di stabilire criteri propri per la selezione dei Ricercatori e dei Professori (Associati e Ordinari), venendo però pesantemente penalizzate se operano in modo non virtuoso; 2) Eliminazione del valore legale della Laurea, in modo da poter mettere in competizione le varie Università fra di loro. E’ una riforma a costo zero, ma non viene mai messa in atto; 3) Dottorato di Ricerca. La selezione dovrebbe avvenire sulla base di un test internazionale, aperto ad italiani e stranieri, senza alcun vincolo. Questo test internazionale (tipo il Graduate Research Exam – GRE, che si fa per l’accesso al PhD negli USA) determina la compilazione di una lista unica internazionale di idonei, alla quale le singole Università dovrebbero attingere per il conferimento delle relative borse di Dottorato. Gli indirizzi su cui attivare i Dottorati dovrebbero essere decisi dai singoli Dipartimenti, sulla base di una graduatoria di merito dei Docenti; 4) Valutazione dei progetti di ricerca da finanziare da parte di un’Agenzia della Ricerca, attraverso un sistema di peer review sistem a livello internazionale, con un controllo rigido dei conflitti di interesse. Non c’è molto da inventare. Il modello dovrebbe essere la National Science Foundation (NSF), che finanzia la ricerca negli USA; 5) Eliminazione dei raggruppamenti disciplinari. I settori scientifico-disciplinari, che non esistono altrove, sono il cancro dell’Università Italiana: bisogna estirparlo! Non ci sarà riforma se non si eliminano gli “strumenti” attraverso i quali le corporazioni agiscono, a difesa dei loro interessi particolari (spesso di famiglia), all’interno delle Università; 6) Eliminazione delle Università e/o di Corsi di Laurea. Indipendentemente dalla virtuosità di bilancio, vanno eliminate Università/Corsi di Laurea nelle sedi dove non viene raggiunto un numero minimo di studenti. Il meccanismo messo in atto finora produce solo sperpero di denaro pubblico, clientelismo a favore delle lobbies dei Professori Universitari (promozioni per i propri protetti) e per i politici locali (che hanno bisogno del fiore all’occhiello della sede Universitaria nel proprio collegio elettorale); 7) Revisione e correzione del sistema della valutazione del merito. Bisogna sconfiggere la robotizzazione introdotta dai criteri ANVUR (battendosi per la sua completa eliminazione), guardando più realisticamente in avanti, senza nostalgie di restaurazione, alle condizioni specifiche strutturali del Paese, ben lontane e differenti da un modello anglosassone che imitiamo goffamente e solo in superficie; 8) Attuazione da parte dei Dipartimenti di programmazioni strategiche, basate sui bisogni dei propri territori e sulle loro prospettive di crescita culturale, economica e civile (e non sulle logiche della difesa corporativa dei SSD), ma soprattutto in funzione degli studenti e non sui bisogni dei Docenti; 9) Introduzione di regole etiche che vietino ai figli dei Professori Universitari di diventare Ricercatore o Professore nella stessa Università dei genitori. Negli USA questa regola non esiste, eppure secondo un codice etico non scritto nessun figlio fa carriera nella stessa Università dei genitori. Se questo succede è una rarissima eccezione. Non è certo la “normalità” della situazione incestuosa delle Università Italiane.

Concludo ribadendo che bisogna impedire che prevalgano logiche consociative, volte alla difesa di interessi particolari, con decisioni caratterizzate da ipocriti balletti con schieramenti e votazioni secondo logiche di gruppi di interessi, nel contesto di un equivoco generale che già Montesquieu nel suo Esprit des lois indicava come un eccesso dal quale le democrazie devono guardarsi: lo spirito dell'eguaglianza estrema.

Questo equivoco fa sì che nelle Università anche le decisioni di merito scientifico vengano prese nei Dipartimenti in funzione del potere e non del sapere, confondendosi la gestione di un consesso scientifico con quella dell'amministrazione "politica" di un Consiglio comunale o di quartiere.

* Professore Ordinario in Geochimica Ambientale presso l'Università di Napoli Federico II e Adjunct prof. presso Virginia Tech, Blacksburg, VA, USA

 

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