Delusa dal fatto che, anche dopo il varo delle Abilitazioni scientifiche nazionali, l’eccellenza continua a non essere l’unico parametro su cui si fonda la progressione della carriera accademica nel nostro paese, la prof. Dolores Fregona, del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Padova, lo scorso febbraio, ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica, per evidenziare limiti, incongruenze e contraddizioni di tali nuove procedure, che avrebbero dovuto far scomparire, una volta per tutte, quella “discrezionalità non motivata, che ha sempre caratterizzato i concorsi pubblici all’università”.
La lettera continua sottolineando che, per gli esiti cui mettono capo, le attuali valutazioni, una volta rese pubbliche, non fanno che confermare, soprattutto tra i giovani, le “loro perplessità sulla mancanza di chiarezza e oggettività” con cui vengono espletate, inducendoli a domandarsi se valga la pena di far ricerca in Italia.
Non dobbiamo, conclude la nota, rassegnarci ad “ammettere che la nostra Università non sa dare il giusto riconoscimento a chi ha delle qualità scientifiche rigorosamente provate”, che peraltro non è difficile accertare, sol che si proceda con “una valutazione obiettiva e non viziata da preconcetti”.
Stando alla lettera, quello testé riassunto non sarebbe che l’ultimo di una serie di appelli vergati dalla prof. Fregona e aventi come destinatari il Miur, il Cineca e le Commissioni per l’abilitazione nazionale di I e II fascia.
Prontamente “girata” per competenza dal Quirinale al Miur, anche quest’ultima missiva ha avuto lo stesso destino delle precedenti, cioè nessuna risposta.
Poiché, come recita il proverbio, domandare è lecito e rispondere è cortesia, ci chiediamo se sia così difficile esser cortesi. A parte ogni altra considerazione, naturalmente.