Visto l’interesse suscitato dal tema, trattato la scorsa settimana, dell’oligarchia mascherata da democrazia, abbiamo giudicato utile tornarvi, aggiungendo ulteriori precisazioni.
C’è nell’oligarchia una diffusa idiosincrasia, anche questa ovviamente non dichiarata, verso il voto popolare, considerato come un intralcio. Ciò porta a un restringimento della sfera della politica , “fino alla pantomima dei suoi riti: personaggi inconsistenti, che talora si presentano come tecnici, rivelandosi in realtà esecutori di volontà altrui; personaggi posti come posta di una lotta che, usurpando la parola, continua a chiamarsi politica; nessun progetto dotato di autonomia”.
Questo degrado, che si chiama immobilismo e consociativismo, è oggi il vero nucleo del potere.
Del resto, ormai la politica non è più la scelta dei fini, ma, soprattutto nei paesi (come il nostro) dove la rigidità finanziaria è maggiore, si va progressivamente riducendo ad attività esecutiva, nel senso che gli residua soltanto una marginale discrezionalità tecnica nell’attuare programmi imposti dall’esterno per salvaguardare la solvibilità dello Stato nei confronti dei suoi creditori internazionali.
Da qui la perdita di sovranità degli stati-nazione a favore di centri di potere finanziari dislocati fuori dagli stati e che di questi fanno a meno. E con il venir meno della scelta dei fini non viene meno solo la politica ma anche la democrazia. Non c’è più il confronto delle idee perché i governi sono chiamati appunto a una funzione esecutiva, quindi ci vogliono i tecnici, che devono provvedere soltanto a garantire certi meccanismi, stante che ormai “le determinazioni politiche sono presentate come dati dettati oggettivamente, che sfuggono quindi alla nostra volontà”.
C’è un sistema oligarchico su scala mondiale che determina il blocco della vita politica nei singoli paesi e “l’Italia ne è un buon esperimento; le forme della democrazia restano, ma gli effetti sulla circolazione del governo tra gruppi dirigenti e forze sociali diverse, il confronto effettivo di idee, di programmi, la competizione reale tra questi non li vediamo. Se siamo disposti a considerare fattori di novità il giovanilismo, l’inesperienza, l’improvvisazione,l’arroganza e l’ambizione, allora siamo disposti a credere a qualunque cosa”.