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Venerdì, 05 Dic 2025

altPoco importa che non sia trascorso nemmeno un lustro dalla riforma Gelmini. Del resto, a un governo, come l’attuale, che sta per cambiare un terzo della Costituzione, non fa certo impressione riformare l’università e la ricerca.

E così, dopo gli annunci della ministra Giannini e della senatrice Pugliesi, secondo cui l’università va tirata fuori dal regime contrattuale della funzione pubblica, sottraendola ai vincoli della p.a., sta circolando in questi giorni una bozza di documento sulla Buona università e la Buona ricerca, ineluttabile sequel della Buona scuola.

Facendoci largo tra la folla di termini inglesi impiegati nel documento (a partire dal titolo, Higher education studies) e le idee che daranno corpo a prescrizioni di dettaglio o, peggio, meramente ad colorandum, due ci sembrano le architravi dell’intera costruzione: lo status dei ricercatori e i nuovi poteri del presidente del consiglio.

Stando alla predetta bozza, la riforma riguarderebbe solo il futuro, mentre lascerebbe intatte le posizioni e salvi i diritti acquisiti di coloro che tuttora negli atenei detengono saldamente le leve di comando. E meno male che l’intenzione dichiarata è quella di combattere “un sistema gerontocratico e ingessato”.

Tanto premesso, dopo aver elencato i limiti dell’attuale sistema, la panacea di tutti i mali viene rinvenuta “nell’uscita dell’università dal campo di applicazione del diritto amministrativo (cioè della pubblica amministrazione)”.

Tale fuoriuscita si realizzerebbe estendendo il Jobs Act anche all’università, per la quale “serve un contratto unico a tutele crescenti, con step di carriera che si fanno semplicemente attraverso una rigorosa valutazione di merito”. Il tutto in un contesto nel quale agli atenei sarebbe consentito “il reclutamento con la sola diretta responsabilità del pareggio di bilancio”.

Come se fosse facile, dopo tutti gli scandali che hanno accompagnato la varie forme di selezione di volta in volta escogitate per cercare di far sì che nei concorsi prevalessero i più capaci e meritevoli, mentre l’invocato pareggio del bilancio rischia di affossare definitivamente le università del sud, notoriamente a corto di risorse. Senza considerare poi che dalla privatizzazione, perché di questo si tratta, dello status di ricercatore deriveranno conseguenze ed emergeranno problematiche che al momento sono inimmaginabili.

Incurante di smentire le preoccupazioni e i timori connessi all’eccessivo “peso” del premier nell’ambito del governo, onde da più parti si parla di “un uomo solo al comando”, il documento si spinge persino a  dare “qualche” attribuzione in più alla presidenza del consiglio, cui infatti viene riservato il  “coordinamento delle politiche per l’innovazione e la ricerca”.

Sennonché, in disparte il fatto che, manco a dirlo, l’organismo in questione sarebbe “snello”, si fa fatica a non vedere come esso avrebbe poteri pressoché illimitati, spettandogli l’ultima parola sull’ottimizzazione dei fondi per la ricerca distribuiti fra i ministeri, “riportando le regioni al loro ruolo di programmazione”, pianificando “gli obiettivi e le linee strategiche del paese”, coordinando le risorse dei fondi strutturali europei e, in ultimo, collaborando “con l’Anvur nella valutazione ex post dei finanziamenti assegnati (con conseguenze sostanziali)”. E’ scritto proprio così, tanto per non ingenerare equivoci.

Si era detto all’inizio di idee che daranno corpo a prescrizioni di dettaglio. Tra le tante, ci ha colpito, ennesima riprova del nostro provincialismo, quella di obbligare gli atenei a tenere almeno il 30% dei corsi in inglese. Ma, per come vanno le cose, siamo soddisfatti che un minimo del 30% dei corsi stessi, a tutela della minoranza italiana, si terranno ancora nell’idioma di Dante. E, visto che ci siamo, anche se “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”, non possiamo fare a meno di “dimandare” che cosa significhi, in tema di diritto allo studio, “adottare a livello nazionale nuovo sistema Ateneo di Firenze”.

Una cosa è certa: per gli studenti universitari, di scaricare cassette ai magazzini di frutta, in estate, finora nessuno ha parlato.

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