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Giovedì, 04 Lug 2024

altNaomi Oreskes, dell'Harvard University, ha scritto un bellissimo articolo "How earth has become a social science" su Historical Social Research (40, 2015; doi: 10.12759/hsr.40.2015.2.246-270) i cui contenuti riporto in sintesi.

Oreskes mette in evidenza come molti problemi connessi con il sistema Terra (cambiamenti climatici, rischi idrogeologici, sismici e vulcanici) non coinvolgono semplicemente il comportamento dei sistemi fisici ma sono il risultato di interazioni con il sistema sociale e, quindi, politico.

La mancanza di conoscenza in scienze umanistiche e sociali comporta notevoli carenze nell'approccio eccessivamente tecnologico che viene utilizzato nell'affrontare tutte le problematiche per la  valutazione dei rischi connessi ai fenomeni naturali.

Oreskes parte dalla disamina di Paul Forman (The primacy of science in modernity, of technology in post-modernity, and of ideology in the history of technology. History and Technology, 23, 1-152, 2007) sui rapporti storici fra scienza e tecnologia, laddove quest’ultima, nell'era moderna, è stata considerata come subordinata alla scienza, mentre nella post-modernità sarebbe la scienza ad essere subordinata alla tecnologia.

Secondo Forman, gli storici della scienza avrebbero sottovalutato questo cambio di posizione sulla base del presupposto della superiorità della scienza sulla tecnologia. In tale quadro, secondo Oreskes, nel recente passato si è assistito ad un altro cambiamento importante riguardante i rapporti che intercorrono fra scienze naturali e scienze sociali, con un coinvolgimento completo di fattori umani nelle analisi dei cosiddetti sistemi naturali.

Nella sostanza, Oreskes mette in primo piano quanto già aveva anticipato il grande scienziato russo Vernadsky oltre un secolo fa, che aveva concepito la Terra come riconducibile a un sistema in continua evoluzione, dove la materia vivente, la litosfera, l'idrosfera, la biosfera e l'atmosfera interagivano con quella che lui definiva la "noosfera", ossia la "sfera" influenzata dalle attività antropiche, oggi definita come Antropocene (vedere Il Foglietto del 17/2/15).

Lo schema di Oreskes è particolarmente evidente nelle scienze del sistema Terra, dove tanti problemi affrontati nelle ricerche riguardano aspetti che interessano non solo il funzionamento dei sistemi fisici ma moltissimo le interazioni di questi con i sistemi sociali.

Oreskes dimostra come le modellizzazioni possano essere fuorvianti, se non completamente erronee, quando si basano su presupposti scientifici dogmatici o, comunque, incompleti. In particolare, fa una attenta e precisa ricostruzione del caso del disastro del terremoto Aquilano, del successivo processo a carico dei componenti della Commissione Grandi Rischi e della campagna di disinformazione che si scatenò sulla stampa mondiale sulle ragioni che determinarono il rinvio a giudizio. Inoltre, illustra, con il dovuto distacco, la posizione dei supporter dell'approccio probabilistico (PSHA) rispetto a quello deterministico (DSHA), i cui componenti privilegiano l'utilizzo dell'evento massimo atteso (MCE) come strumento di protezione civile (vedere Il Foglietto del 9/9/14 e del 5/5/15).

Nella sua analisi, Oreskes enfatizza come i problemi che la società deve affrontare riguardo ai fenomeni naturali, quali approvvigionamento idrico, cambiamenti climatici, rischi sismici e vulcanici, sono problemi complessi, ibridi, amplificati dall'interazione fra attività umane e sistemi naturali. I terremoti e le eruzioni vulcaniche si sono sempre verificati nella storia dell'evoluzione geologica; sono diventati un "problema" per la società umana quando si sono costruite infrastrutture rigide.

Allo stesso modo, l'approvvigionamento idrico ha rappresentato una sfida per la nascita e la fine di civilizzazioni, così come i cambiamenti climatici sono sempre esistiti. Ed anche essi hanno determinato migrazioni e/o invasioni di popoli.

Pensare, quindi, di volere/potere governare tali fenomeni con l'uso di modelli matematici probabilistici, come pensano di poter fare alcuni tecnologi nostrani, e non solo, svincolati dai modelli fisici naturali e da quelli sociali, è pura e semplice follia.

*Professore Ordinario in Geochimica Ambientale presso l'Università di Napoli Federico II e Adjunct prof. presso Virginia Tech, Blacksburg, VA, USA

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