L’appuntamento è fissato per dopo le vacanze, quando si comincerà a parlare di legge di stabilità 2016. Ad attenderlo sono alcune decina di migliaia di lavoratori subordinati (pubblici e privati), che vorrebbero conquistare la pensione con qualche anno di anticipo rispetto ai termini inaspriti oltremodo dalla controriforma Fornero.
I tecnici del ministero dl lavoro e quelli dell’Inps sono al lavoro da qualche settimana, ma anche al Parlamento c’è un gran movimento, tant’è che continuano a trapelare ipotesi, finalizzate a rendere più flessibile l’uscita verso la quiescenza con l’intento di avviare quel ricambio generazionale di cui tutti parlano senza far nulla.
Si va, infatti, dalla estensione anche agli uomini della cosiddetta “opzione donna”, ovvero della possibilità di uscita con 35 anni di contributi e 57 di età, la cui pensione verrebbe però calcolata col solo sistema contributivo. Il che vuol dire ottenere un assegno mensile ridotto di circa il 30/40% rispetto al calcolo col sistema misto (retributivo/contributivo). Questa ipotesi è ben vista sia dall’Inps che dal ministero del lavoro.
C’è, poi, l’ipotesi della introduzione della “quota 100”, da raggiungere con 38 anni di contributi e 62 di età. In questo caso, il pensionando dovrebbe subire una decurtazione del 2% per ogni anno mancante all’età della pensione di vecchiaia.
Altra ipotesi sul tavolo dei tecnici è quella del “prestito pensionistico”, ideata per i lavoratori privati durante il governo Letta dall’allora ministro del lavoro, Enrico Giovannini.
Nella nuova versione, all’aspirante pensionato verrebbe assicurato un assegno mensile assai ridotto (700/1000 euro) fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione, con l’obbligo di restituire quanto complessivamente percepito, in piccole rate mensili. Una proposta che avrebbe costi irrisori per le casse dello Stato.
Infine, c’è proposta di legge sottoscritta da Cesare Damiano e Pier Paolo Baretta (entrambi Pd). Si tratta di un’ipotesi che permetterebbe di lasciare il posto di lavoro a partire dal compimento del 62° anno di età, con penalizzazione del 2% l'anno, fino al compimento dei 66 anni. Sono richiesti 35 anni di contributi ed aver maturato un trattamento pari ad almeno 1,5 volte la pensione minima.
Qualunque sarà la decisione che alla fine il governo adotterà, una cosa è certa: l’uscita anticipata non sarà a costo zero per l’aspirante pensionato. Tutt’altro.