Com’è noto, danno da spamming è quello derivante da comunicazioni elettroniche a carattere commerciale non sollecitate dal destinatario, che quindi può rivolgersi al giudice per ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Sennonché, come ci ricorda una recente e perspicua sentenza del Tribunale di Perugia (27 febbraio 2015), per ottenere la tutela risarcitoria occorre pur sempre che in giudizio sia fornita rigorosa prova del danno, dimostrando il pregiudizio causato dallo spamming e il nesso di causalità tra l’azione dolosa o colposa e il danno stesso.
Nel caso di specie, quanto al danno patrimoniale, la suddetta prova è stata giudicata macroscopicamente carente, essendo stato ritenuto del tutto insufficiente “ il generico richiamo a costi di connessione, a non comprovati fenomeni di intasamento delle funzioni Internet, a dispendi di tempo e denaro”.
In ordine, invece, al danno non patrimoniale, contrariamente a quanto troppo facilmente concesso in termini di risarcibilità dai giudici di pace, la sentenza perugina, ribadendo i principi della Corte di Cassazione, precisa che “non sono risarcibili i danni futili o irrisori né quelli che, pur essendo oggettivamente seri secondo la coscienza sociale, sono insignificanti o irrilevanti per il livello raggiunto”.
In conclusione, “non è sufficiente a ottenere tutela risarcitoria che il diritto sia meritevole di tutela in astratto, ma è altresì necessario che esso sia inciso oltre una soglia minima e che dia origine a un pregiudizio serio”, fermo restando che “il danno non patrimoniale non è danno in re ipsa ma va sempre provato”.
Tutto questo è mancato nel caso di specie, comportando così il rigetto della pretesa dell’attore, stante che “il tempo occorrente per cancellare i messaggi di posta elettronica non assurge a pregiudizio serio, idoneo a provocare altro che non sia un mero fastidio”.